Per il Covid-19 serve una cura più che un vaccino. Lo sostiene Giulio Tarro in un’intervista rilasciata a L’Eco del Sud, aggiungendo che «ormai il virus non deve più spaventarci». Il virologo di fama, che ben prima di tanti altri ha saputo prevedere l’evoluzione dell’epidemia, parla anche della «macchina del fango» messa in moto nei suoi confronti, augurandosi che «questo clima di terrore possa terminare».
A proposito del Covid-19, già nei mesi scorsi, lei ha sostenuto cose che oggi sono sotto gli occhi di molti ma non di tutti. Come il fatto che il virus con il caldo sarebbe scomparso. O come l’efficacia della plasmaterapia. Eppure, è stato osteggiato da molti, perfino vilipeso, al punto da arrivare a sporgere anche qualche querela. A cosa attribuisce una reazione così veemente?
«Credo che la mia colpa sia stata quella di aver dubitato delle teorie e previsioni di alcuni noti colleghi, teorie e previsioni già smentite dagli accadimenti di queste settimane, come da lei ricordato. È stata attivata nei miei confronti una vera e propria macchina del fango, persino su Wikipedia. Ho scoperto in questa fase dell’esistenza dei tuttologi. Tutto inizia oltre un anno fa, quando dopo diverse sollecitazioni, ho scelto di collaborare attraverso la redazione di articoli per il Giornale dei Biologi e la partecipazione a vari convegni, alle attività dell’Onb, Ordine Nazionale dei Biologi. Questa mia scelta non è evidentemente piaciuta a quanti non condividono le scelte dell’Onb in materia di sicurezza dei vaccini. Tra le tante calunnie, mi vedo attribuire anche battaglie ideologiche a cui sono “assolutamente estraneo”: prima ero un “no-vax”, ora sono diventato un “no-mask”. A tutti rispondo: sono un medico. Sono un uomo che ha speso la sua esistenza nella ricerca. Le mie dichiarazioni sono puramente scientifiche. A mio avviso a lungo termine la storia narrerà di anni bui e densi di contraddizioni scientifiche e oscurantismo, dove le fake news hanno regnato sovrane. Dove si è fatto del semplicismo il sinonimo della semplificazione. Mi sono trovato al centro di polemiche strumentali perché non si sono lette o ascoltate le mie parole. Il semplicismo ha stravolto quello di cui mi sono fatto convintamente portavoce. Rifacendomi ad una mia opera, Una medicina per la gente, riporto parte di una mia “felice” affermazione, oggi più attuale che mai: “Non esiste una divinità chiamata ‘Scienza’ o ‘Medicina’. Esistono scienziati e medici. Non pochi, aggrappati alle loro ‘certezze’ o ai loro sponsor, capaci di additare come un eretico da eliminare chi, come me, ha sollevato dubbi. Quarant’anni di battaglie contro questa casta, per una medicina al servizio della gente”».
Sembra che tutti coloro che diffondono messaggi positivi, malgrado si basino su riscontri scientifici, siano destinati alla gogna mediatica. È successo al professor Alberto Zangrillo nei giorni scorsi, alle equipe di Mantova e Pavia che hanno lavorato alla plasmaterapia. Ma anche al premio Nobel Luc Montagnier, qualche mese addietro. Perché questo catastrofismo a tutti i costi? Lei lo ha definito “terrorismo quotidiano”. Chi ci guadagna dal perdurare delle misure di contenimento e dal permanere della paura nei cittadini?
«Ci guadagnano “pochi” a danno della collettività. Dominano i social network e il consenso che ne deriva. Facebook e Twitter sono strumenti preziosi se ben usati, ma diventano deleteri quando di essi se ne fa un abuso. Credo che molti dei protagonismi nati durante l’emergenza Covid19 troveranno ben presto un’affermazione ulteriore. Dureranno il tempo del Covid19. Mi auguro che termini questo clima di terrore. La viremia del Covid19 non deve più spaventarci e se gestita meglio, non avrebbe creato tutto questo caos».
È possibile che si tratti di un virus modificato in laboratorio, come sostiene Montagnier?
«Ritengo che si siano trattate semplicisticamente le affermazioni di Luc Montagnier. Per me non è altro che un’ipotesi da “tavolino”, basata su calcoli matematici ma non è quello che è stato riscontrato sul campo dai ricercatori di tutto il mondo. Tuttavia, non è impossibile che un ricercatore o un tecnico possa portare fuori, ovviamente si presume inconsciamente, un virus dal laboratorio. Ad ogni modo, il virus è sicuramente un virus naturale ed è per questo che non deve preoccuparci, almeno non più».
Lei afferma che il Sars-Cov2 è un beta-coronavirus, come la Sars e la Mers. E che quindi scomparirà del tutto. Ma da cosa si deduce che è un beta-coronavirus. Da quanto tempo il mondo scientifico è approdato a questa conclusione che molti ancora oggi tendono a negare?
«Un “Epidemiologo”, non fantomatico, si accorgerebbe che la struttura dei tre virus mostra delle congruenze importanti. È una constatazione non teorica ma di fatto e l’evoluzione del Covid19 non fa altro che dimostrarcelo. Se il Covid19 ha dato questi problemi bisogna riferirsi a vari fattori, quali: l’utilizzo di concimi particolari in determinate aree del mondo; l’abuso della vaccinazione antiinfluenzale; l’aumento della temperatura terrestre, con inevitabile stravolgimento del biosistema; una gestione disastrosa dell’emergenza. È stato altamente errato protrarre il lookdown per così tanti mesi. Il virus ha trovato confortevoli habitat domestici, soprattutto nelle Rsa. Bisognerebbe condurre studi in questo senso».
Le cure farmacologiche e la plasmaterapia sembrano efficaci contro il Covid-19. Inevitabile pertanto domandarsi se si tratta davvero di un virus terribile o se l’alta percentuale di letalità sia da attribuire ad altro. Che ne pensa?
«L’alta mortalità è dovuta non certo ad un virus più cattivo, ma alla sottostima del numero dei contagiati, soprattutto nel nord Italia. In Italia, i contagiati da Covid19 non sono quelli conteggiati dalla Protezione civile, basandosi solo sui pochi tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni. Assolutamente no. Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali dai 6 ai 10 milioni di contagiati da Covid19, solo in Italia. A questo dato sicuramente non marginale, se ne deve aggiungere un altro. Credo e lo dico convintamente, che vi sia un’eccessiva enfasi nella divulgazione dei numeri. In base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità di cartelle cliniche relative ad esami autoptici eseguiti su presunte vittime da Covid19 abbiamo che in 909 casi solo 19 sono da attribuirsi come causa diretta e reale al Sars-CoV2. Sottolineo che col tempo, rispetto alle analisi iniziali, dove vi era un’attenta analisi delle cartelle cliniche dei pazienti, si è forse fatto confusione tra persone con coronavirus e persone morte di coronavirus».
Il professor Pasquale Bacco, che lei conosce molto bene avendolo avuto come allievo, sostiene che tempestive autopsie avrebbero evitato cure errate. Il professore Lorenzo Mondello, oltre a ritenere fondamentale l’immunità di gregge, ha definito le terapie intensive “camere di morte” e sostiene l’importanza dell’assistenza territoriale. Ma perché in Italia, come nel resto del mondo, si è dovuto registrare un costo in termini di vite umane così alto prima di ottenere rimedi efficaci, malgrado si partisse dalla tragica esperienza cinese? Ritiene che Pechino abbia davvero tenuto per sé importanti informazioni?
«Il discorso è molto più complesso di quello che sembra. È facile voler trovare un responsabile, è tipico dell’uomo, voler incolpare necessariamente qualcuno o qualcosa. Mi sono già espresso in merito all’origine naturale del virus ed eviterei di trasformare la Cina in un capro espiatorio, per giustificare inefficienze che sistemi sanitari all’avanguardia non dovrebbero avere. I virus influenzali hanno origine o da alcuni animali volatili o da alcuni animali acquatici. In primis i pipistrelli: è stato calcolato che nell’intestino di un pipistrello della Cina meridionale si celino almeno 50 tipi di coronavirus diversi. E, considerando che il pipistrello ha anche una grande importanza alimentare nel Paese, non ci si può certo stupire che il 3% degli agricoltori di tutta la Cina risulti positivo ai coronavirus: nella stragrande maggioranza dei casi fortunatamente si tratta di forme benigne. A ciò si aggiunga che la popolazione cinese è sicuramente ben più immunizzata di noi alla famiglia dei coronavirus, proprio per questa convivenza pacifica con il virus. Coronavirus e Sars sono due parenti stretti, in quanto fanno parte della stessa famiglia e hanno la stessa derivazione animale. La “prima” Sars però, in rapporto a quello che fu il suo livello di diffusione, probabilmente può considerarsi anche più temibile: durata sei mesi, in Cina colpì 8mila persone e ne uccise 774, giungendo così a un tasso di mortalità totale del 10%. Il Covid19 invece, pur con un’estensione epidemica maggiore (in Cina è stata colpita una popolazione di circa 81mila persone), a circa quattro mesi dall’inizio dell’epidemia ancora non supera il 3-4% di mortalità».
Appurata la sua contrarietà alle mascherine, ha ancora senso parlare di distanziamento sociale, di quarantena e quant’altro? La luce è vicina o siamo già fuori dal tunnel?
«Assolutamente no, il virus non deve più spaventarci. Le temperature roventi sono alle porte e il virus ha perso la sua carica virale. Già da giugno, con il caldo e con l’estate non dovrebbero esserci più grossi problemi. A ciò si aggiunga che il Sars-Cov2 per replicarsi ha bisogno di temperature basse e umide, per cui le alte temperature estive non sono un suo “alleato”. Per il prossimo autunno, a differenza di quanto si prospetta secondo l’Oms e la comunità scientifica, saremo, in larghissima parte, naturalmente immunizzati. A mio avviso, il Covid19 potrebbe sparire completamente come la prima Sars, ricomparire come la Mers, ma in maniera localizzata o cosa più probabile diventare stagionale come l’aviaria. Per questo serve una cura più che un vaccino».
Fonte: lecodelsud.it