Nils Melzer: Smascherare la tortura di Julian Assange

Pubblicato il 26 giugno 2019- in occasione della Giornata Mondiale del sostegno alle vittime della Tortura.

Nils Melzer è un accademico svizzero, autore e professionista nel campo del diritto internazionale. Dal 1 ° novembre 2016, Melzer è il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti

Traduzione a cura del gruppo Italiani Per Assange

Lo so, potete pensare che sia un illuso. Come può la vita in un’ambasciata in compagnia di un gatto e di uno skateboard equivalere ad una tortura? E’ esattamente quello che ho pensato anch’io, quando per la prima volta Assange ha fatto appello al mio ufficio in cerca di protezione. Come la maggior parte del pubblico, ero stato inconsapevolmente intossicato dall’incessante campagna denigratoria che era stata disseminata nel corso degli anni. Perciò è stata necessaria una seconda chiamata per ottenere la mia riluttante attenzione. Ma una volta esaminati i fatti relativi al caso, quello che ho scoperto mi ha riempito di raccapriccio e incredulità.

Di sicuro- ho pensato- Assange dev’essere uno stupratore! Ma quello che ho scoperto è che non è mai stato accusato formalmente di un reato sessuale. E’ vero, poco dopo che gli USA avevano esortato gli alleati perché trovassero delle scuse per processare Assange, i pubblici ministeri svedesi hanno dichiarato alla stampa scandalistica che (Assange) era sospettato di aver stuprato due donne. Stranamente, tuttavia, le donne in questione non hanno mai affermato di essere state violentate, né di aver voluto denunciare un crimine. Figuratevi un po’! Inoltre l’esame scientifico di un preservativo, a quanto si dice usato e rotto durante un rapporto sessuale con Assange, non ha rivelato alcuna traccia di DNA- né di lui, né di lei, né di nessun altro. Di nuovo, figuratevi un po’! Una delle donne ha anche scritto in un sms che voleva soltanto che Assange si sottoponesse ad un test per l’HIV, ma che la polizia era impaziente di “mettere le mani su di lui”. Figuratevi, ancora! Da allora, la Svezia e la Gran Bretagna hanno fatto di tutto per impedire ad Assange di combattere queste “accuse” (1), senza doversi nel contempo esporre al rischio di estradizione negli USA e perciò ad un processo farsa seguito da un ergastolo. Il suo ultimo rifugio era stata l’ambasciata ecuadoriana.

Va bene, ho pensato, ma sicuramente Assange dev’essere un hacker! Ma quello che ho scoperto è che tutte le sue rivelazioni provenivano da soffiate volontarie e che nessuno lo accusa di aver “crackato” un computer. Infatti l’unica discutibile accusa di hacking riguarda il presunto tentativo infruttuoso di aiutare a violare una password che, in caso di riuscita, avrebbe potuto consentire alla sua fonte di nascondere le sue tracce. In breve: una catena di eventi piuttosto singolare, frutto di congetture e senza alcun impatto reale, un po’ come tentare di processare un guidatore per aver cercato di superare il limite di velocità, ma non esserci riuscito perché il motore dell’automobile non era abbastanza potente.

Beh, d’accordo,- ho pensato- come minimo sappiamo per certo che Assange è una spia russa, ha interferito con le elezioni americane e negligentemente ha causato la morte di alcune persone! Ma tutto quello che ho scoperto è che aveva sistematicamente pubblicato delle informazioni autentiche di pubblico interesse senza alcuna violazione di fiducia, dovere o lealtà. Sì, ha rivelato crimini di guerra, corruzione e abusi, ma non confondiamo la sicurezza nazionale con l’impunità dei governi. Sì, i fatti che ha portato alla luce hanno consentito agli elettori americani di prendere decisioni più informate, ma questa non è semplicemente democrazia? Sì, ci devono essere delle discussioni etiche sulla legittimità di diffondere notizie non revisionate (2). Ma, se questi danni fossero realmente stati causati, per quale motivo né Assange né WikiLeaks avrebbero mai affrontato dei processi penali o delle cause civili per un equo risarcimento?

Ma di sicuro- mi sono ritrovato ad addurre come scusante — Assange sarà un narcisista egoista che gira in skateboard all’interno dell’ambasciata ecuadoriana e imbratta di feci i muri? Beh, tutto quello che ho sentito dal personale dell’ambasciata è che gli inevitabili disagi della sua sistemazione presso i loro uffici sono stati gestiti con reciproco rispetto e riguardo. Questo è cambiato solo dopo l’elezione del Presidente Moreno, quando (agli impiegati) è stato improvvisamente ordinato di trovare delle calunnie contro Assange e, quando non lo facevano, venivano prontamente rimpiazzati. Il presidente si è persino fatto carico di elargire al mondo i suoi pettegolezzi e di privare personalmente Assange dello stato di asilo e della cittadinanza (3) senza un dovuto procedimento legale.
Alla fine mi è balenato il sospetto che fossi stato accecato dalla propaganda e che Assange fosse stato sistematicamente diffamato per distogliere l’attenzione dai crimini che aveva rivelato. Una volta privato della sua dignità umana attraverso l’isolamento, il dileggio e la gogna, proprio come le streghe che una volta venivano bruciate sul rogo, sarebbe stato facile privarlo dei suoi diritti fondamentali, senza provocare un’ondata di sdegno in tutto il mondo.
E così surrettiziamente è stato creato un precedente legale, per mezzo della nostra indifferenza, che può essere applicato, e lo sarà, alle rivelazioni del The Guardian, del New York Times e ABC News.

Molto bene, potreste dire, ma la calunnia cos’ha a che fare con la tortura? Beh, è un terreno scivoloso: quella che potrebbe apparire come una semplice denigrazione in un dibattito pubblico, diventa mobbing se usato contro una persona che non può difendersi e persino “persecuzione” una volta che lo Stato vi sia coinvolto. Ora aggiungeteci l’intenzionalità e una grave sofferenza e avrete una tortura psicologica in piena regola.
Sì, vivere in un’ambasciata con un gatto e uno skateboard può sembrare un buon affare quando credete al resto delle bugie. Ma quando nessuno ricorda le ragioni dell’odio di cui siete bersaglio, quando nessuno vuole nemmeno ascoltare la verità, quando né i tribunali, né i media chiamano i potenti a rendere conto, allora il vostro rifugio assomiglia ad un gommone in una vasca piena di squali e né il vostro gatto, né il vostro skateboard vi salveranno la vita.

Anche così, potreste dire, perché sprecare tutto questo fiato su Assange, quando un’infinità di altre persone viene torturata in giro per il mondo? Perché non si tratta solo di proteggere Assange, ma di impedire un precedente in grado di segnare irrevocabilmente il destino della democrazia occidentale. Perché, una volta che raccontare la verità sia diventato un crimine mentre i potenti si godono l’impunità, sarà troppo tardi per riuscire a correggere il corso. Avremo consegnato la nostra voce alla censura e il nostro destino ad una tirannide senza freni.

NdA: La pubblicazione di questo editoriale è stata offerta a: the Guardian, The Times, the Financial Times, the Sydney Morning Herald, the Australian, the Canberra Times, the Telegraph, the New York Times, the Washington Post, Thomson Reuters Foundation, e Newsweek.

Nessuno ha accettato.

(1) NdT: le virgolette sono state usate per distinguere l’originale inglese “allegation”, che indica un’accusa non supportata da prove, da “charge”, utilizzato da Melzer all’inizio del paragrafo, che è invece l’accusa corredata da prove fattuali che può dar luogo ad un’incriminazione formale (in inglese “indictment”).
(2)
NdT: il termine inglese usato da Melzer è “redacted” che indica non la verifica della genuinità della notizia, ma la rimozione anteriormente alla pubblicazione di tutti quei dati sensibili- come per esempio i nomi delle persone coinvolte-, la cui divulgazione potrebbe produrre un danno o anche addirittura la morte di queste persone per vendette, ritorsioni, ecc…
(3)
NdT: Melzer si riferisce alla cittadinanza ecuadoriana che era stata concessa ad Assange nel 2017 dal predecessore di Moreno, Rafael Correa.

ITALIANI PER ASSANGE

Qualche tempo fa, cercavo informazioni su Assange, volevo sapere come stesse, dove fosse e perchè se ne sentiva parlare così poco. Cercando in rete mi sono imbattuto in un gruppo su Facebook: “Italiani Per Assange”. Ho trovato persone e informazioni preziose, attività e progetti per sostenere attivamente Julian Assange.

Un gruppo da seguire, incoraggiare e condividere, perchè Julian Assange riguarda tutti noi, riguarda la nostra libertà. Parlare di lui vuol dire parlare dell’umanità e del futuro che vogliamo costruire.

Arianna Marchionne, ricercatrice in fisica presso l’ Universita di Helsinki è una delle amministratrici del gruppo, le ho chiesto di spiegare ai nostri lettori come nasce la pagina “Italiani per Assange”. Ecco cosa ci ha risposto:

Lo scorso giugno, parlando con un’altra persona coinvolta in azioni di difesa di Julian Assange,
Serena Ferrario, decidemmo di fondare un gruppo per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana
circa la situazione che vede coinvolto il fondatore di Wikileaks.
Con Serena, mi trovai subito d’accordo circa l’importanza di difendere la libertà di espressione e
di stampa in un mondo che sembra procedere in un’inquietante direzione, verso una società che
promuove l’impunità e perseguita chi rivela crimini.
Quando si parla dell’organizzaizone fondata da Julian Assange, Wikileaks, viene subito in mente il
famoso video “Collateral Murder”, che mostra un attacco aereo avvenuto nel 2007 a Nuova
Baghdad da parte dell’Esercito degli Stati Uniti nei confronti di civili iracheni disarmati, tra cui due
reporters della Reuters. Le vittime non hanno ancora avuto giustizia: i militari che hanno ucciso
civili e giornalisti non sono stati nemmeno indagati, mentre il giornalista che ha rivelato l’accaduto,
Julian Assange, è detenuto in un carcere di massima sicurezza in Inghilterra, in attesa di una
possibile estradizione negli USA dove rischia 175 anni di reclusione.
Nei confronti del fondatore di Wikileaks sono stati presentati 17 capi d’accusa sulla base di una
legge risalente al 1917, l’Espionage Act, per il suo ruolo nell’aver ottenuto e pubblicato
informazioni coperte da segreto militare e diplomatico. L’Espionage Act è la stessa legge che nel
1973 gli Stati Uniti provarono a usare contro l’ex analista militare Daniel Ellsberg per la rivelazione
dei Pentagon Papers, documenti top secret sulla guerra in Vietnam. L’Espionage Act, pensata per
punire chi passa informazioni al nemico, non distingue tra il giornalista che decide di pubblicare
documenti classificati ritenuti di pubblico interesse, e la spia che passa tali documenti al nemico.
Per tale ragione, l’applicazione di tale legge ai giornalisti è controversa, e come fa notare il New
York Times, è di fatto la prima volta nella storia degli Stati Uniti che viene usata contro un
giornalista. Il caso legale di Assange e Wikileaks deciderà quindi le sorti del giornalismo
investigativo, in quanto determinerà il diritto di pubblicare quelle informazioni ritenute nel pubblico
interesse, seppur coperte da segreto di Stato.
Sempre citando il New York Times, lo stesso quotidiano insieme ad altre agenzie di stampa
avevano ottenuto da Wikileaks gli stessi documenti, senza l’autorizzazione del governo. Risulta
quindi non chiaro come questo sia legalmente diverso dall’attività svolta da Wikileaks.
In Italia, escluse alcune nobili eccezioni come la giornalista Stefania Maurizi e Giulietto Chiesa,
la stampa ha parlato del caso Assange poco e male. I pochi articoli su di lui sono infatti spesso
superficiali e ricchi di inesattezze. Serena e io decidemmo quindi di aprire un gruppo sul social
Facebook al fine di diffondere interviste, articoli, traduzioni e eventi in supporto a Julian Assange e
alla libertà di stampa. Il gruppo conta ora piu di 2000 iscritti. Considerata la portata epica del caso
giudiziaro di Assange, questo numero può forse sembrare irrisorio, eppure è per noi un numero
significativo, considerata l’inquietante e inammissibile carenza di copertura mediatica del caso, in
Italia come all’estero.
Su ispirazione dell’opera AnythingToSay? di Davide Dormino, che raffigura Julian Assange,
Chelsea Manning, ed Edward Snowden in piedi su tre sedie, e una quarta sedia vuota, per noi, lo
scorso 23 febbraio a Roma in Piazza del Popolo, siamo saliti su una sedia per difendere i principi
fondamentali dello Stato di democrazia e i diritti umani di un uomo che ha sacrificato la propria
libertà per il nostro diritto alla verità. Giornalisti, attivisti, e artisti sono saliti uno alla volta sulla
sedia leggendo estratti di articoli e interviste volti a far luce sulla drammatica situazione in cui si
trova attualmente Julian Assange. Fra i presenti all’evento, il compianto Giulietto Chiesa e l’artista
Davide Dormino.
Assange, che continua a essere descritto come un ‘hacker’ al fine di dissuadere cittadini e stampa
dal prendere le sue difese, è un giornalista a tutti gli effetti: è iscritto alla International Federation
of Journalists e alla Media Entertainment and Arts Alliance, e insieme alla sua organizzaizone, ha
vinto i premi piu’ prestigiosi del giornalismo. Wikileaks, inoltre, non ha mai dovuto ritrattare una
pubblicazione. Nessun’altra organizzazione può vantare tale record.

La battaglia di Julian Assange per la trasparenza dovrebbe portarci a riflettere su quale sia il ruolo
della stampa nelle democrazie. La libertà di stampa è, infatti, fondamento di ogni società
democratica: senza una stampa libera, chi è al potere ne abuserà. In una democrazia, sono i cittadini
a delegare il potere al governo, e quindi il governo deve rispondere di come usa questo potere. In
assenza di trasparenza, questo non può accadere, in quanto i mezzi di comunicazione di massa non
potrebbero garantire ai cittadini di esercitare il loro controllo sui tre poteri dello Stato.
Se un giornalista australiano, a Londra, può essere estradato negli Stati Uniti per aver rivelato
informazioni di pubblico interesse, seppur classificate, allora abbiamo tutti l’obbligo civico – e
morale – di domandarci fin dove può spingersi il giornalismo nel mondo occidentale. Può un
giornalista rivelare segreti di Stato, quando questi coprono crimini di guerra, corruzione, e
violazioni dei diritti umani e della privacy? E forse vi è anche di piu. Questo caso scatena un
dibattito sul concetto stesso di democrazia. Ecco perché la vicenda del Signor Assange merita, a
nostro parere, la maggior risonanza possibile.
Julian Assange è attualmente detenuto in custodia cautelare presso il carcere di massima sicurezza
Belmarsh in Inghilterra, in attesa del processo sull’estradizione. Il 7 settembre inizierà la seconda
parte del processo.

Chi è interessato a ricevere informazioni sul processo e sui prossimi eventi in
supporto al fondatore di Wikileaks, può seguirci sulla nostra pagina e gruppo Facebook “Italiani per
Assange
”, e sul nostro account Twitter @AssangePer.


Alleghiamo la traduzione dell’editoriale del Relatore Special ONU sulla Tortura, Prof. Nils
Melzer, in occasione della della giornata internazionale in sostegno alle vittime di tortura, 26
giugno 2019.

Accompagnato da due psichiatri specializzati nella diagnosi di vittime di tortura, il
Prof. Melzer ha visitato Assange in prigione lo scorso 9 maggio 2019. “Assange mostra tutti i
sintomi tipici di una tortura psicologica protratta nel tempo, inclusi stress estremo, ansia cronica e
intenso trauma psicologico”, ha dichiarato il Relatore Speciale ONU sulla Tortura.