La tubercolosi. Qualcuno se ne ricorda ancora in epoca COVID-19? Beh.. sarebbe opportuno farlo..

Articolo del Dr. Paolo Diego L’Angiocola
Cardiologo ospedaliero S.S.N.
Co-founder SIMEDET
Deputy Editor-In-Chief IJPDTM

In questo periodo di intensa concentrazione dell’intera comunità scientifica, spaccata tra varie voci dissenzienti, e di molti governi in relazione alla gestione della diffusione del Covid-19, ci siamo posti una domanda apparentemente banale. Ma dove sono finite le altre patologie? Ah beh.. sono sempre rimaste attive e diffuse nelle popolazioni ed hanno continuato a svolgere la loro azione fisiopatologica con scrupolosa diligenza. Ma seguitemi fino alla fine i questo articolo…perché vi saranno interessanti considerazioni da fare relative anche alla questione della dichiarata pandemia attuale.

La tubercolosi è una di queste malattie apparentemente dimenticate ma solo apparentemente. La tubercolosi o TBC è una della più antiche e comuni infezioni batteriche conosciute. Circa un terzo della popolazione mondiale si ritiene ne sia infetta. Fortunatamente solo il 5% di questi casi progrediscono verso una malattia attiva e progressiva. Il restante 95% contrae un’infezione latente o quiescente senza sviluppare alcun sintomo e senza risultare contagiosi in termini di trasmissione della malattia.
La TBC è causata da un bacillo gram-positivo denominato Mycobacterium tuberculosis. Le pareti cellulari di questo patogeno sono ricche di lipidi, rendendolo resistente a molti detergenti, antibatterici, antibiotici e disinfettanti.

L’infezione viene sviluppata mediante inalazione del mycobatterio presente in goccioline, le cosiddette droplets, presenti in forma aerosolica nell’aria e rilasciate nell’atmosfera circostante da parte di un soggetto con infezione attiva in atto mediante colpi di tosse o semplicemente starnutendo o parlando.
Il processo di trasmissione del patogeno è particolarmente efficiente poiché queste droplets possono persistere nell’ambiente e nell’aria per diverse ore e la carica batterica necessaria per indurre infezione può anche essere piuttosto bassa, ovvero meno di 10 bacilli già sufficienti per scatenare l’infezione.

La malattia è molto antica. Nel 2008 alcuni scavi archeologici hanno riportato alla luce due scheletri di 9.000 anni fa e da analisi effettuate su di essi è risultato che le loro ossa fossero infette proprio dal bacillo della tubercolosi.
Oggi, la tubercolosi, è ancora uno dei primi killer infettivi al mondo e provoca più morti della malaria o perfino dell’HIV.
Come abbiamo detto il bacillo si trasmette per via aerea. Passa attraverso le vie respiratorie e infetta inizialmente i polmoni. Le cellule immunitarie, i macrofagi, si dirigono verso la sede dell’infezione nel tentativo di assorbire ed eliminare il patogeno. In molti casi, questa risposta consente l’eliminazione dei batteri. Ma nei soggetti che presentano altre condizioni cliniche, come ad esempio malnutrizione o l’HIV o diabete o gravidanza, la risposta immunitaria può non bastare ad eliminare l’intruso.
Il Mycobacterium tuberculosis si riproduce all’interno dei macrofagi, formando colonie nei tessuti polmonari circostanti. Man mano che infettano nuove cellule, i batteri sfruttano enzimi proteolitici che distruggono il tessuto infetto stesso, provocando nel paziente lesioni polmonari cavitarie, dolore toracico ed emottisi. Il danno al tessuto polmonare porta a progressiva ipossia. Si instaura un circolo vizioso che può indurre una serie di mutamenti metabolici tra i quali inappetenza e carenza di ferro. I micobatteri a questo punto possono raggiungere il sistema scheletrico diffondendosi in esso, provocando dolori alla schiena e difficoltà motorie, arrivano infine anche in sede renale ed intestinale, causando dolori addominali. Le localizzazioni cerebrali sono anch’esse possibili con l’eventuale clinica associata del caso.
Questi elementi inducono la classica immagine del soggetto affetto da tubercolosi: magrezza dovuta a calo ponderale, pallore cutaneo, tosse secca ed emottisi, disidratazione.
Nel 1882, il medico tedesco Robert Koch identificò le origini batteriche della malattia. 13 anni dopo, il fisico Wilhelm Röntgen scoprì i raggi X, consentendo ai medici di diagnosticarne i reperti radiologici e monitorarne l’eventuale progressione sistemica. Nel 1921, gli scienziati svilupparono il vaccino antitubercolare denominato bacillo di Calmette-Guerin. La tubercolosi attiva può essere trattata mediante terapia antibiotica ma gli antibiotici possono fallire nel loro intento di eradicazione del bacillo: circa il 90% delle persone infette da TB non mostrano alcun sintomo. Nei casi di infezione latente, il batterio della TB può essere dormiente, attivandosi solo quando le difese immunitarie di qualcuno si indeboliscono. Questo rende la diagnosi di TB molto più ardua.
Anche quando viene propriamente identificata, le terapie tradizionali possono richiedere fino a 9 mesi di trattamento, rendendo necessaria la somministrazione di farmaci con un alto potenziale di effetti indesiderati. Questo aspetto scoraggia le persone a completare fino al termine il ciclo di trattamento completo incrementando dunque la possibilità che i batteri diventino resistenti ai farmaci. La tubercolosi resistente a terapia antibiotica, il cui bacillo viene denominato multi drug resistant TB, o MDR-TB, è una particolare forma di malattia in cui il bacillo diviene non responsivo al trattamento antibiotico condotto con le due principali molecole impiegate nella terapia del caso ovvero l’isoniazide e la rifampicina.
Per diagnosticare la tubercolosi è possibile utilizzare diversi strumenti diagnostici; in particolare un test di screening è la cosiddetta tubercolina, o test cutaneo, che semplicemente attesta se il soggetto sia venuto a contatto con il bacillo contraendo l’infezione ma che non indica se l’infezione risulti attiva o quiescente. Oppure con analoga funzione esiste l’intradermoreazione alla Mantoux. Chiaramente la diagnosi di infezione attiva può essere effettuata isolando il bacillo in coltura da campioni di fluidi corporei del caso, come ad esempio le secrezioni catarrali del soggetto sintomatico, come avviene peraltro per tante altre malattie infettive sfruttando gli esami colturali, microbiologici e batteriologici del caso.
Oggi, questa malattia è ancora diffusa in 30 paesi, la maggior parte dei quali affronta altre emergenze sanitarie che permettono alla tubercolosi di slatentizzarsi e progredire in malattia attiva.
Peggio ancora, l’accesso alle cure può essere difficile in molti di questi paesi e il pregiudizio verso la tubercolosi scoraggia la popolazione a cercare gli aiuti necessari.

Un interessante articolo edito sul New York Times in data 03 agosto 2020, di cui riporto il link di seguito per chi volesse approfondire, dovrebbe far riflettere. L’articolo è intitolato, tradotto dall’inglese: “il grande mostro si sta diffondendo e non è il coronavirus”.
https://www.nytimes.com/2020/08/03/health/coronavirus-tuberculosis-aids-malaria.html
Nell’articolo vengono riportate le parole del Dr. Pedro Alonso, responsabile scientifico dell’OMS per la gestione del piano antimalarico che dichiara, tradotto dall’inglese: “non solo il coronavirus ha deviato l’attenzione scientifica dalla tubercolosi e dalla malaria ma i lockdown, in particolare in alcune aree dell’Africa, Asia e America latina, hanno innalzato barriere insormontabili per pazienti obbligati a viaggiare per essere sottoposti ad esami diagnostici o al fine di ottenere farmaci; la paura del coronavirus e la chiusura di molte cliniche hanno fatto sì che molti pazienti infetti da tubercolosi e malaria mantenessero la distanza dalle stesse mentre le varie restrizioni aeree e via mare hanno compromesso gravemente la distribuzione dei medicinali nelle regioni più colpite; circa l’80% dei programmi relativi a tubercolosi e malaria hanno subito interruzioni nei servizi”. Il Collega aggiunge inoltre che le varie restrizioni adottate per la lotta al coronavirus hanno portato ad effetti collaterali nell’organizzazione generale dei progetti contro HIV, malaria e tubercolosi per cui la stima circa ciò che avverrà nei prossimi mesi possa essere sintetizzata nel modo seguente: un periodo di lockdown di tre mesi in varie aree del mondo con conseguente progressivo ritorno alla normalità in circa 10 mesi potrebbe comportare un numero pari a circa 6,3 milioni di casi in più di tubercolosi e circa 1,4 milioni di morti da tubercolosi; un’interruzione di terapia antiretrovirale di 6 mesi potrebbe comportare un incremento di circa 500000 casi di morte per malattie correlate ad HIV, e, sempre in base alle stime dell’OMS, le morti per malaria potrebbero duplicarsi a circa 770000 casi per anno. Molti esperti di salute pubblica hanno ammonito che l’attuale trend di gestione del coronavirus potrebbe riportare la situazione attuale ad un quadro simile a quello di decine e decine di anni addietro in relazione ai progressi fatti per tubercolosi, malaria e HIV. Per non parlare poi della ricaduta economica: perché un tale scenario richiederebbe misure di investimento pari a circa 28,5 miliardi di dollari per correre ai ripari…una cifra praticamente impossibile da conseguire e concretizzare in aiuti effettivi.
E dunque dobbiamo preoccuparci del COVID-19? Io risponderei a questa domanda con una affermazione diversa, ovvero che noi dovremmo occuparci del COVID-19 e non pre-occuparci. I sanitari fanno il loro dovere e fanno quello che possono in relazione alle capacità e le risorse messe a loro disposizione. La dissertazione non può che scadere dunque in ambito politico e gestionale e non è questa la sede per poterne parlare. Chiaramente ognuno può farsi un idea propria in relazione all’operato degli enti preposti alla gestione della cosa pubblica…almeno fin quando non imporranno un lockdown anche al pensiero individuale. Ma lascio a voi queste riflessioni.
Una cosa però mi lascia davvero direi…sconfortato…mi chiedo infatti
La tubercolosi, la malaria, l’HIV…non interessano più? O forse sì, interessano sempre, ma..meno alle popolazioni europee ed occidentali? Perché si sa l’Africa, l’Asia e l’America latina interessano a pochi in occidente. Quanti sanitari si pongono domande in relazione alla letalità di un parassita come ad esempio Schistosoma Mansoni, sempre che ne abbiano nozione? Letalità che fortunatamente negli ultimi venti anni si è ridotta notevolmente proprio grazie ai programmi di gestione ed igiene pubblica. Ma Schistosoma è endemico in Africa…e come già esplictato… l’Africa interessa a qualcuno in occidente? A pochi forse sì…
Da molti mesi ripetiamo che l’intera comunità scientifica dovrebbe fare un bell’esame di coscienza a tutto tondo. Chiaramente riportando esempi eclatanti come TBC, malaria, HIV o Schistosoma alcuni potrebbero pensare di riflesso: “ma a me cosa importa? Non è mica casa mia…”. Una reazione peraltro anche possibilmente comprensibile sotto un profilo individuale. Beh però forse è proprio questo uno dei problemi cruciali alla base della deriva sociale: tutti dovremmo pensare più solidalmente agli altri. Tutti dovremmo occuparci di sostenere gli altri con tutti i mezzi a nostra disposizione. E non si tratta di facile buonismo semplicistico…le occasioni per fare di meglio e di più sono quotidiane direi. Ma questo va ben oltre la professionalità sanitaria. Richiede un atto che proviene dal Cuore e dallo Spirito. L’essere umano senza questo afflato è deprivato di un essenza che lo porterà con il paraocchi a pensare esclusivamente a sé stesso ed al suo piccolo orticello. E per carità, ci auguriamo che ognuno possa essere gioioso nella propria dimensione: questo è più che giusto e lecito ed è realizzabile. Tutti potremmo ed anzi avremmo diritto ad una dimensione privata confortevole. Tuttavia un esame di coscienza, una visione ampia, un dedizione altruistica ed un apertura di mente e cuore, possono coesistere con una dimensione privata soddisfacente ed anche agiata. Perché no… La storia ci sta insegnando che dalla solidarietà e dai Bene ed Ordinati sforzi nascono Meraviglie. Ed allora perché non approfittarne? Lo so richiede impegno, dedizione…ma la soluzione non sarà forse proprio lì? Nella reciprocità? Nel mutuo sostegno? Nel reciproco aiuto ed interesse per l’altro oltre il proprio confine? È possibile… Occupiamoci dunque della TBC, della malaria, dell’HIV e del COVID-19. Con scienza ma soprattutto Coscienza che auspichiamo divenga sempre più presente in ogni ambito sanitario, politico, economico.

Il presente articolo è fruibile anche in forma di podcast al seguente indirizzo:
https://www.spreaker.com/user/simedetcast/tubercolosi