I MISTERI DELLA STRAGE DI CAPACI: “Mafia, Massoneria e appalti”: Falcone ucciso per l’informativa Caronte dei Ros

DOCUMENTO ESCLUSIVO COMMISSIONE ANTIMAFIA:
LA RELAZIONE CHOC DELL’EX PROCURATORE GRASSO
SULL’INCHIESTA DEI CARABINIERI ROS DI MORI
SVELA I RETROSCENA DEI PROCESSI
PER TRATTATIVA STATO-MAFIA E DEPISTAGGI

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Fonte originale: inchiesta di Gospa News

INCHIESTA DEL 21 LUGLIO 2019 RIPUBBLICATA IL 23 MAGGIO 2021 IN MEMORIA DELLA STRAGE DI CAPACI

«Se dobbiamo parlare di aspetti inquietanti, ce ne sono diversi, certamente per la strage di Borsellino. Il mio ufficio, come Procura nazionale, nei limiti dei suoi compiti istituzionali, non si è fermato nel cercare di rivedere il più possibile tutte le acquisizioni, le carte e gli accertamenti fatti non solo per la strage di via D’Amelio, ma anche per tutte le altre, partendo dall’attentato all’Addaura, per proseguire poi con le varie fasi dell’omicidio Lima, della strage di Capaci e di quella di via D’Amelio, per arrivare a Firenze, Roma, Milano e quella – fallita – all’Olimpico».

Queste parole virgolettate sono state pronunciate dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, davanti alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla Mafia in merito ai Grandi Delitti e sulle Stragi di Mafia 1992-1993. Le frasi dirompenti ed i quesiti inquietanti emersi dalla sua audizione del 22 ottobre 2012 nella 115° seduta dell’organismo bicamerale presieduto da Giuseppe Pisanu, contenuti in un atto già pubblico dell’Archivio del Parlamento della Repubblica Italiana, sono di sconcertante attualità alla luce delle inchieste e dei processi ancora in corso.

 Il magistrato Pietro Grasso, procuratore nazionale Antimafia dal 2005 al 2012

Grasso, divenuto Presidente del Senato con il Partito Democratico nella precedente legislatura ed ora senatore eletto nelle file Leu, nel suo lungo colloquio coi parlamentari evidenziò da un parte i limitati poteri della Procura Nazionale Antimafia dall’altra la sua visione “politica” sugli attentati compiuti da Cosa Nostra quale «agenzia di servizi criminali» per conto di «centri occulti di potere». Si tratta di 42 pagine fitte di riferimenti, a volte anche assai circostanziati, a terroristi estremisti esperti di esplosivi piuttosto che alla massoneria fino alla citazione dei rapporti scottanti della Dia e degli Sco che con «la palla di cristallo» previdero «azioni criminali devastanti» indicando però altre piste investigative che rimasero binari morti…

Infine c’è il movente degli interessi convergenti sulla «economia criminale»: un allarme lanciato 7 anni orsono divenuto certezza nell’ultimo rapporto semestrale 2018 della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) in cui si evidenzia l’ormai acclarata infiltrazione mafiosa nell’alta finanza ed il riciclaggio di denaro provento di illeciti all’interno di attività pulite nell’ambito turistico di alberghi e ristoranti.

 I giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme in una memorabile immagine

Solo alcune parti, poco più di un’ora su 5 di audizione, furono secretate perché ritenute dallo stesso magistrato Grasso inerenti questioni allora oggetto di indagini. L’importanza cruciale di quel resoconto dell’allora Procuratore Nazionale deriva soprattutto dalla circostanza che è una delle rarissime occasioni in cui la cosiddetta Trattativa Stato-Mafia è stata approfondita parallelamente alle inchieste sulla strage di Via Capaci, in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, sua moglie, insieme agli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, e sull’eccidio di Via d’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino con gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

LA TRATTATIVE STATO-MAFIA E IL DOSSIER SCOTTANTE

Ma soprattutto è stato uno dei pochi momenti di analisi del contesto giudiziario siciliano in cui si sviluppò la cosiddetta Informativa Caronte, l’indagine sugli intrecci mafia-appalti avviata dai Carabinieri del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) sotto il coordinamento di Falcone, ripresa da Borsellino per fare luce sull’attentato mortale dell’amico collega, e rapidamente archiviata dalla Procura di Palermo, a due giorni dall’uccisione dello stesso Borsellino, tanto da essere stata ancora di recente oggetto delle recriminazioni della figlia Fiammetta in un’intervista su RAI 1. Nella relazione di Grasso il cerchio tra mafia, imprenditoria, politica, massoneria, deep-state, servizi segreti, si chiude come un anello prodigioso destinato prima o poi a donarci il miracolo della tanto sospirata verità.

Successivamente a quell’inchiesta mafia-appalti, il Palazzo dei Veleni si trasformò in un urna di misteri che a distanza di 27 anni rimbalzano da un processo all’altro. C’è stato quello davanti alla Corte d’Appello di Palermo (che approderà in Cassazione) per cui sono stati condannati nell’aprile 2018 proprio gli autori di quel dossier, l’allora generale dei Ros Antonio Subranni, il colonnello Mario Mori (poi generale di brigata e direttore del Sisde), ed il capitano Giuseppe De Donno per la presunta trattativa Stato-Mafia, da cui però era stato assolto, nel 2015 e ancora l’altro giorno, in un procedimento stralciato, sia il loro presunto “mandante”, l’ex ministro Calogero Mannino, che l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza ed al centro della polemica sulla cancellazione delle sue intercettazioni telefoniche con l’allora presidente della Camera Giorgio Napolitano, divenuto presidente della Repubblica e poi emerito nelle fasi processuali.

C’è il dibattimento davanti al Tribunale di Caltanisetta sul depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio con tre poliziotti indagati per calunnia aggravata. Ma c’è pure l’eco dell’inchiesta penale del Tribunale di Caltanisetta che nel 1999 si concluse con il proscioglimento di alcuni magistrati per corruzione per atti contrari all’ufficio e quella attualissima della Procura di Messina che, invece, nel mese scorso ha indagato due ex magistrati del Pool Antimafia proprio per i depistaggi nelle indagini sulla morte di Borsellino.

E’ impossibile ricostruire in un solo articolo 27 anni di investigazioni, depistaggi, sparizioni di documenti (come la famosa agenda rossa di Borsellino), manipolazioni di pentiti e processi in parte ancora in essere. Ma è anche assai pericoloso perché il quotidiano online Il Dubbio che dedicò una ricostruzione a puntate all’Informativa Caronte sugli appalti gestiti dal cosiddetto ministro dei Lavoro Pubblici di Cosa Nostra, l’arrestato Angelo Sinio, divenuto poi collaboratore di giustizia, è stato puntualmente querelato…

In attesa di raccogliere informazioni più dettagliate (auspicando di ricevere anche contributi da fonti ufficiali o anonime), in questo primo reportage ci atteniamo pertanto scupolosamente alle parole dell’ex Procuratore Nazionale Antimafia ed a quelle della figlia del giudice ucciso, parte civile nel processo nisseno sul depistaggio. Le ultime dichiarazioni di Fiammetta Borsellino piovono come grandine a ciel sereno contro l’iniziativa politica targata Movimento 5 Stelle di desecretazione degli atti delle Commissioni parlamentari antimafia dal 1962 al 2001: una strategia di trasparenza su documenti assai datati che saranno peraltro viavia oggetto di selezione prima della pubblicazione ragionata in un sito ad hoc del Parlamento.

L’INCHIESTA MAFIA-APPALTI ARCHIVIATA DOPO LE STRAGI

«Oggi, anzi ieri – dice la figlia del magistrato – molti si pavoneggiano di avere desecretato quegli atti. Loro, (Commissione antimafia e Parlamento ndr) puntano agli anniversari per fare vedere che lavorano. Loro, il Csm e la Commissione antimafia, lo fanno il 19 luglio nell’anniversario della morte di mio padre e degli uomini della sua scorta e hanno il sapore della strumentalizzazione mediatica». Parole ben comprensibili visto che le sue precedenti accuse al Csm per l’intenzione di archiviare i procedimenti disciplinari contro i magistrati coinvolti nei depistaggi sulle indagini sulla strage e le sue perplessità sull’archiviazione dell’inchiesta mafia – appalti avevano trovato eco sui media ma nessuna sponda in iniziative politiche o parlamentari volte a fare chiarezza sull’operato delle toghe.

Il quotidiano Il Dubbio ha ripreso le parti salienti dell’intervento di Fiammetta Borsellino su Rai 1, ospite nel febbraio scorso di Fabio Fazio a Che Tempo che Fa. Il conduttore le chiese su che cosa stesse lavorando suo padre, cosa c’era di così di occulto tanto da ammazzarlo e attuare un depistaggio. «A mio padre – risponde Fiammetta- sicuramente stavano a cuore i temi degli appalti, dei potentati economici: eppure il dossier su mafia e appalti fu archiviato il 20 luglio, a un giorno dalla strage. Ci saranno sicuramente state delle ragioni, ma io non le ho mai sapute». Per precisione, il quotidiano Il Dubbio, segnala che l’inchiesta sviluppata a partire dalla nota informativa “Caronte” dei Carabinieri del Ros fu oggetto di una richiesta di archiviazione il 13 luglio, vistata dal procuratore capo di Palermo ed inviata al Gip del Tribunale il 22, ed archiviata da quest’ultimo solo il 14 agosto.

Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice assassinato

Nella stessa trasmissione la figlia del giudice assassinato rievoca i punti dolenti del depistaggio: «C’è stata una grande mole di anomalie e omissioni che hanno caratterizzato indagini e processi. Le indagini furono affidate a Tinebra, appartenente alla massoneria. E poi i magistrati alle prime armi che si ritrovarono a gestire indagini complicatissime tanto che dichiararono di non avere competenze in tema di criminalità organizzata palermitana. La Procura di Caltanissetta – ha aggiunto Fiammetta – non ha mai ascoltato un testimone fondamentale dopo la morte di mio padre: il procuratore Giammanco. Colui il quale conservava nel cassetto le informative dei Ros che annunciavano l’arrivo del tritolo. Fino a quando Giammanco, poco tempo fa, è morto».

La figlia di Borsellino si riferisce a Pietro Giammanco, scomparso nel dicembre 2018, ex capo della Procura di Palermo dal 1990 al 1992, poi dimessosi e trasferitosi in Corte di Cassazione qualche mese dopo l’uccisione di Paolo Borsellino, quando otto sostituti procuratori avevano lanciato un appello minacciando le dimissioni dalla Procura se lui non se ne fosse andato. Al suo posto, il 15 gennaio del 1993, arrivò Giancarlo Caselli, che si insediò proprio nel giorno in cui venne catturato Riina grazie ai Ros guidati dal generale Mario Mori ed alla sezione Crimor del famoso Capitano Ultimo, ovvero l’attuale tenente colonnello dell’Arma Sergio De Caprio.

DIFFERENTI INDAGINI SULLA TRATTATIVA STATO MAFIA

Il procuratore nazionale antimafia fu invece invitato già nel 2012 dal presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi 1992-1993 a rispondere a precise domande sulle relazioni Stato-Mafia: ci fu la trattativa? In che cosa consistette? Quando iniziò? Chi vi prese parte? Come si sviluppò? Come e perché si concluse? Dopo aver evidenziato i limitati poteri di indagini della Procura Antimafia che può coordinare ma non investigare, se non in caso estremo di avocazione dell’inchiesta per “perdurante e ingiustificata inerzia dell’attività d’indagine”, l’allora magistrato Grasso traccia un quadro generale sulle investigazioni. «Coordinare le DDA di Firenze, Palermo e Caltanissetta comporta avere un quadro globale di quelli che sono, appunto, i filoni investigativi: certamente quelli di Caltanissetta sono rivolti ad individuare i responsabili delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio del 1992; quelli di Firenze i responsabili delle stragi di Firenze, Roma e Milano del 1993; infine, i filoni investigativi della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo sono tendenti ad approfondire i contatti e le relazioni tra esponenti di Cosa nostra e rappresentanti delle istituzioni, rientranti in quella che ormai viene comunemente definita trattativa».

 La copertina della relazione del procuratore nazionale Pietro Grasso alla Commissione Parlamentare sulle stragi – CLICCA PER LEGGERE IL TESTO INTEGRALE

Tralasciando per esigenze di sintesi la terribile strage di via di Georgofili del 27 maggio 1993 in cui morirono cinque civili tra cui due bambine, ci soffermiamo sull’analisi dei differenti esiti delle inchieste siciliane tracciati dall’allora PN. «La posizione di Caltanissetta sostiene che la trattativa abbia avuto un effetto acceleratore sulla strage di via D’Amelio e ne colloca l’inizio nel momento del primo contatto tra l’allora capitano De Donno e Massimo Ciancimino. Questo è quindi l’inizio della cosiddetta trattativa: secondo le valutazioni della Direzione Distrettuale antimafia nissena, ha inizio nei primi del giugno del 1992 ed è poi proseguita con i vari incontri tra il capitano De Donno e l’allora colonnello Mori con Vito Ciancimino. Nell’ambito delle attività investigative, si e` ritenuto da parte di Caltanissetta d’indagare anche Matteo Messina Denaro (latitante – ndr) per il coinvolgimento nella strage di Capaci tenuto conto della partecipazione alla fase ad essa antecedente, che è la presenza del commando su Roma nel febbraio 1992».

«Per quanto riguarda la posizione della direzione distrettuale antimafia di Palermo, ci sono invece delle piccole differenze, che non contrastano con le valutazioni della DDA di Caltanissetta, ma in un certo senso si integrano. Una prima fase della trattativa viene anticipata al momento successivo all’omicidio dell’europarlamentare Lima. Sotto questo profilo, sarebbe quindi stata anticipata l’ideazione della trattativa, che sarebbe stata elaborata da soggetti che … Forse e` meglio segretare questa parte» prosegue la relazione di Grasso che si addentra ad analizzare gli attentati ai magistrati palermitani che cominciano con quello dell’Addaura, nella villa sul mare dove il giudice Giovanni Falcone incontrò i colleghi svizzeri per alcune connessioni nelle rispettive inchieste su riciclaggio e narcotraffico, in quella strategia del giudice palermitano di seguire il denaro degli illeciti…

POTERI OCCULTI SUL FILO ROSSO TRA GRANDI DELITTI E STRAGI

«E` lì che inizia un discorso diverso, che parte sempre dall’intuizione di Falcone sulle menti raffinatissime. Il punto non sono tanto le menti raffinatissime; Falcone completa la frase parlando di centri di potere occulto che ormai sono collegati con la mafia, che è qualcosa di diverso – rivela Grasso alla Commissione – Non si tratta solo di menti particolari; parlare di centri di potere occulto collegati con la mafia vuol dire che ci sono interessi convergenti, già dall’attentato all’Addaura, sull’eliminazione di Falcone e di quello che Falcone rappresenta. Falcone non è solo il nemico numero uno di cosa nostra, non è solo quello che è riuscito a capirne i segreti e la struttura, che è riuscito a far collaborare Buscetta e quindi a fare il maxiprocesso. Non è solo quello. Quella certamente è una fase importante; pero` c’è anche un mondo che gira intorno all’economia criminale, di cui Cosa Nostra è parte integrante, ma che non è composto solo da Cosa nostra. Quindi, il fatto che abbia potuto colpire, magari senza saperlo, o toccare dei nervi scoperti o degli interessi ancora da scoprire (cui si era avvicinato) certamente può rappresentare un’ipotesi da continuare a valutare come un filo rosso che parte dall’Addaura e prosegue successivamente».

Fu il giudice istruttore Rocco Chinnici, prima vittima di un attentato esplosivo a Palermo il 29 luglio 1983, a parlare del filo rosso che lega grandi delitti e stragi della storia come della nascita della Mafia contestualmente ai moti politici garibaldini-mazziniani-massonici per l’Unità d’Italia.

L’INFORMATIVA CARONTE DEI CARABINIERI ROS

E’ invece Grasso a riferire ai commissari parlamentari di «una concomitanza di causali» sollecitato dal presidente Pisanu: «La domanda si riferisce al valore che lei assegna, nel contesto generale, al famoso rapporto dei Carabinieri su mafia e appalti». Ovvero l’informativa Caronte. «Proprio questo sistema criminale, fatto non soltanto dal criminale tagliagole o dalla mafia militare, che più volte è emerso dalle indagini, certamente è portatore di interessi notevoli. Non penso che nei fatti di mafia ci sia o si possa individuare un movente o una causale unica e specifica. Spesso cosa nostra è stata usata come braccio armato per difendere questi interessi» risponde il procuratore nazionale.

 L’allora colonnello Mario Mori )in divisa) con il capitano Giuseppe De Donno, autori del dossier Informativa Caronte su Mafia-Appalti in Sicilia

«Quello che si può intuire è che certamente interessi economico-imprenditoriali, soprattutto dell’alta imprenditoria, risultavano minacciati da un’indagine che proprio Falcone aveva avviato insieme al ROS. Tale indagine in una prima fase si era conclusa in maniera non visibile. Avrete sicuramente acquisito gli atti. Ho visto una relazione molto articolata della Procura di Palermo sulle successioni di questo rapporto mafia-appalti – rimarcava Grasso – C’e` stato un primo rapporto molto minimalista, in cui si rappresentava il fenomeno quasi come se si volesse vedere come si atteggiava la procura e che voglia aveva di approfondire e di andare avanti. C’e` stato poi un secondo rapporto, che interviene in un secondo momento, che porterà alla cattura di Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici, che però è una sorta di scudo rispetto a cose molto piu` interessanti che si sarebbero potute scoprire. Quando viene indicato, in un’intercettazione, «quello con la S», si crede di identificare Siino, mentre poi si scoprirà che era l’imprenditore Salamone, che era il centro di tutto un tavolino di appalti con cui si dividevano i grossi appalti siciliani tra le grosse imprese e la mafia, con uno 0,8 per cento per la cassa di cosa nostra tenuta da Riina».

Angelo Siino, considerato il ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra, arrestato e divenuto collaboratore di giustizia

«Questo certamente lascia intravedere dei grossi interessi, così come gli interessi che venivano gestiti da Lima (Salvatore, parlamentare siciliano Dc – ndr) e da Ciancimino (Vito, imprenditore e poi sindaco palermitano – ndr) nell’ambito della spartizione dei più grossi appalti a Palermo e in Sicilia; l’uccisione di Lima significa anche un modo di cambiare completamente tutto – relazionò il magistrato alla Commissione – Lima doveva essere ucciso perchè era un uomo della fazione perdente dei Bontade-Inzerillo, non viene ucciso perché è una gallina dalle uova d’oro che riesce a mettere tutti d’accordo e a gestire questo settore dei pubblici appalti. Finché è utile, viene tenuto; quando non è più utile e il referente politico di Cosa Nostra non produce piu` nulla, si cambia. Quindi l’omicidio Lima, secondo quello che diceva lo stesso Giovanni Falcone, è uno spartiacque. Falcone disse “adesso può succedere di tutto” perché crollava tutto un mondo».

IL DOPPIO DOSSIER PER LE DIFFERENTI PROCURE

Il senatore Luigi Li Gotti, membro della Commissione, introduce quindi la questione del rapporto dei Carabinieri Ros denominato Informativa Caronte «mandato in versione ridotta alla procura di Palermo e in versione integrale a quella di Catania», e del colloquio avuto tra il colonnello Mori e il giudice Borsellino il 25 giugno 1992. «Mori ha riferito che l’oggetto di quell’incontro riservato, per non farsi vedere in procura, era proprio l’impulso d’indagine sul rapporto mafia appalti. Ma il rapporto mafia appalti che conosceva Borsellino era quello incompleto, ove erano omissati i nomi dei politici nazionali, le intercettazioni De Michelis, eccetera».

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