L’inquietante inchiesta di Pro Publica
redazione indipendente americana
sul controllo di messaggi e dati
da parte del gruppo di Mark Zuckerberg
nonostante tre colossali multe
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Fonte originale: inchiesta di Gospa News
L’ipocrisia sfrontata del Nuovo Ordine Mondiale cerca sempre di giustificare le proprie azioni più vili e nefande con un’aura di bene. E così la guerra civile nella Siria dove fino al 2011 convivevano pacificamente Musulmani Sciiti, Sunniti e Cristiani è stata motivata dall’esportazione di una democrazia contro un presunto despota, sebbene il piano di regime-change fosse stato architettato dalla Central Intelligence Agency (il controspionaggio USA) fin dal lontanissimo 1983. Obiettivo primario: il petrolio che gli Usa continuano a rubare con l’aiuto di organizzazioni estremiste ispirate alla jihad.
Alla stessa stregua per combattere la pandemia da SARS-Cov-2, costruito in laboratorio secondo autorevoli esperti di virologia ed intelligence, non si cercano i veri responsabili, non si usano le cure già note ed efficaci contro questi ceppi di Coronavirus ma si cerca di imporre una dittatura sanitaria, economica e di polizia al fine di spacciare al meglio i vaccini delle Big Pharma su cui lucrano gli stessi fondi d’investimento, in gran parte gestiti da sostenitori del movimento politico Sionista (di matrice Askenazita ben lontana dal verace Semitismo e per questo contestato dagli stessi Ebrei Ortodossi persino in Israele).
Ma tutte queste mistificazioni sociali non sarebbero possibili senza l’aiuto dei media di mainstream, ampiamente foraggiati dal tycoon di turno (George Soros, Bill Gates o John Elkann del Bilderberg), la cui azione dirompente e massiva è stata negli ultimi anni potenziata dai mostri Big Tech che ci hanno regalato la libertà tecnologica dal web ai social ma ora ci stanno facendo pagare un conto assai salato. Ciò avviene soprattutto nei confronti di quegli operatori di contro-informazione come Gospa News che si è vista oscurare la pagina su FB, con il mio profilo e quello di un collaboratore cancellati in passato ed oggi sovente bloccati, e censurare ogni attività su LinkedIn.
Ci stanno infatti imponendo censure ideologiche di notizie verificate e provenienti da fonti autorevoli, sovente anche per faziosità dei Fact-Checkers, analoghe a quelle dei regimi Nazifascisti (sconfitti in fretta perché oppositori della massoneria che soggiace al Nuovo Ordine Mondiale) e ancor più a quelle di totalitarismi Comunisti come quelli di Stalin e Pol Pot, ma pure delle epurazioni dei partigiani con licenza di uccidere donne e bambini in Italia anche dopo la Liberazione del 25 aprile 1945.
Ebbene oggi una doviziosa inchiesta pubblicata da un sito americano di tutela dei diritti umani ci svela come e perché il gruppo di Mark Zuckerberg (Facebook, Instagram e Whatsapp) non solo spia i dati di coloro che ritiene “cattivi” utenti – magari soltanto perché sostengono opinioni differenti credendo che l’Occidente non sia ancora stato divorato dalla coercitiva società orwelliana – ma si sente autorizzato, senza aver alcun mandato di istituzioni internazionali o governi nazionali, a denunciare i presunti crimini.
Ciò fa rabbrividire se si pensa che proprio in questi giorni anche in Italia la Polizia sta portando avanti una massiccia attività di monitoraggio dei cosiddetti NoVax, ufficialmente per prevenire atti violenti ipotizzati sui social ma implicitamente per poter monitorare – ovvero anche condizionare – i dissenzienti dalle strategie ProVax del Governo.
A fronte di una massiccia operazione antiterrorismo condotta a Milano, Bergamo, Roma, Venezia, Padova e Reggio Emilia sono state indagate solo 8 persone per istigazioni a delinquere perché uno di loro su Telegram ha suggerito l’uso di Molotov incendiarie da usare contro i furgoni delle tv alle manifestazioni anti-GreenPass: non è stata trovata traccia di ordigni nelle perquisizioni degli agenti, in quella di uno di loro solo un’ingombrante spada katana, uno sfollagente e un tirapugni, certamente inutili in azioni eversive, a conferma del basso profilo degli esagitati sui social.
Tornando allo spionaggio delle chat di Whatsapp ovviamente ciò sarebbe fatto – il condizionale è d’obbligo perché non ci sono ammissioni ufficiali – solo a “fin di bene” per stroncare le reti di terroristi o di pedofili. Anche se, secondo i veri cacciatori degli orchi come il fondatore dell’associazione Meter, il sacerdote siciliano don Fortunato Di Noto, sono proprio i giganti del Big Tech ad alimentare la pedopornografia, soprattutto in quei paesi poveri dove la polizia stessa è più corrotta, perciò distratta o addirittura indifferente alle violenze sui bambini.
Ecco perché in questo articolo, sintesi dalla lunghissima inchiesta pubblicata dal sito Pro Publica e ripresa con risalto soltanto dal network Russia Today, non ci soffermeremo troppo sull’analisi delle “buone” motivazioni che alimentano questo colossale ed illegale traffico di dati.
Esso viene prima filtrato dall’Intelligenza Artificiale poi monitorato sul campo da un esercito di mercenari, a volte ex baristi senza minima esperienza di etica, psicologia e sociologia, assunti come contractor da una rinomata società internazionale di consulenza che funge da schermo e da parafulmine di eventuali violazioni della privacy a vantaggio di Facebook che ne fa largo uso anche su Whatsapp.
Come dimostrato in un precedente articolo basato sulle dichiarazioni di un esperto programmatore di algoritmi di Google proprio Facebook sta tollerando profili che indirizzano verso la pornografia: potenzialmente anche quei fanciulli di 13 anni cui è concesso da Zuckerberg & co. di crearsi un profilo autonomo su FB.
In fondo lasciare agire indisturbato qualche gruppo di pedofili fornisce la giustificazione a controllare la “policy” di chiunque sulla rete proprio come concedere ai terroristi jihadisti di compiere occasionali attentati (come di recente quello clamorosamente annunciato di Kabul) consente agli apparati dell’intelligence militare – e non – di monitorare qualunque cittadino per la dilagante strategia della tensione.
WHATSAPP, CHAT CRIPTATE VISIBILI AI CONTRACTOR
«Quando Facebook ha acquisito WhatsApp, ha promesso di rispettare la privacy dei suoi utenti. Non è stato così e l’azienda ora impiega migliaia di dipendenti per leggere le chat presumibilmente crittografate» scrive Russia Today che ha dedicato molteplici reportages alle ripetute violazioni di privacy dei Big Tech, violazioni culminate nello scandalo di FB con Cambridge Analytica.
Come si ricorderà all’inizio del 2018, Facebook e una società di analisi dei dati politici denominata Cambridge Analytica sono stati implicati in una massiccia violazione dei dati. I dati personali di oltre 87 milioni di utenti di Facebook erano stati ottenuti in modo improprio dalla società di analisi dei dati politici.
Nel 2014, invece, il colosso dei social media Facebook ha acquisito WhatsApp, con il CEO Mark Zuckerberg che ha promesso di mantenere l’app di messaggistica essenziale e senza pubblicità “esattamente la stessa”. La crittografia end-to-end è stata introdotta nel 2016, con l’app stessa che offre garanzie sullo schermo agli utenti che “Nessuno al di fuori di questa chat” può leggere le loro comunicazioni e lo stesso Zuckerberg ha detto al Senato degli Stati Uniti nel 2018 che “Noi non vedere alcun contenuto in WhatsApp.”
«Presumibilmente, niente di tutto ciò è vero. Sulla base di documenti interni, interviste con i moderatori e un reclamo di un informatore, ProPublica ha spiegato come funziona il sistema in una lunga indagine pubblicata mercoledì (8 settembre 2021 – ndr)» scrive ancora Russia Today cui ci affidiamo per la sintesi estrema delle problematiche emerse, prima di analizzarle nel dettaglio grazie all’inchiesta del sito americano.
«Quando un utente preme “segnala” su un messaggio, il messaggio stesso più i quattro messaggi precedenti nella chat vengono decodificati e inviati a uno di questi moderatori per la revisione. I moderatori esaminano anche i messaggi raccolti dall’intelligenza artificiale, sulla base di dati non crittografati raccolti da WhatsApp» evidenzia RT.
I dati raccolti dall’app sono estesi e includono:”I nomi e le immagini del profilo dei gruppi WhatsApp di un utente, nonché il numero di telefono, la foto del profilo, il messaggio di stato, il livello della batteria del telefono, la lingua e il fuso orario, l’ID univoco del telefono cellulare e l’indirizzo IP, la potenza del segnale wireless e il sistema operativo del telefono, come un elenco dei loro dispositivi elettronici, di eventuali account Facebook e Instagram correlati, dell’ultima volta che hanno utilizzato l’app e di eventuali precedenti di violazioni”.
«Questi moderatori non sono dipendenti di WhatsApp o Facebook. Invece sono appaltatori che lavorano per $ 16,50 all’ora, assunti dalla società di consulenza Accenture. Questi lavoratori sono tenuti al silenzio da accordi di non divulgazione e la loro assunzione non è stata annunciata da Facebook» rimarca il network russo.
Ora analizziamo le parti essenziali della lunghissima inchiesta di Pro Publica, una redazione indipendente e senza scopo di lucro che produce giornalismo investigativo con forza morale con sede a New York City, con uffici a Chicago, Washington, D.C., Atlanta e Phoenix. Molti paragrafi sono stati eliminati nella nostra sintesi con traduzione in Italiano.
UN ESERCITO DI MERCENARI AL SERVIZIO DI FACEBOOK
Per prima cosa vediamo chi è il gestore di questi mille moderatori. Accenture PLC (fino al 2001, Andersen Consulting) è una multinazionale con sede legale a Dublino, in Irlanda, operante nel settore della consulenza strategica e direzionale e dell’esternalizzazione. Essa è stabilmente nel gruppo Fortune 500, la classifica delle prime 500 multinazionali al mondo per fatturato. La società svolge anche attività di riprogettazione dei processi aziendali nelle aree finanza, contabilità e controllo di gestione, oltre che di consulenza informatica, organizzate su cinque gruppi operativi. Dal 2001 è quotata alla Borsa di New York (NYSE).
«Come aveva detto in precedenza Zuckerberg, in testimonianza al Senato degli Stati Uniti nel 2018, “Non vediamo nessuno dei contenuti in WhatsApp”» rammenta inizialmente l’inchiesta di Pro Publica.
«Date queste ampie assicurazioni, potresti essere sorpreso di apprendere che WhatsApp ha più di 1.000 lavoratori a contratto che riempiono i piani di edifici per uffici ad Austin, Texas, Dublino e Singapore. Seduti ai computer in pod organizzati per incarichi di lavoro, questi lavoratori orari utilizzano uno speciale software di Facebook per setacciare milioni di messaggi privati, immagini e video. Esprimono un giudizio su qualsiasi cosa lampeggi sul loro schermo – affermazioni su qualsiasi cosa, da frode o spam a pornografia infantile e potenziali complotti terroristici – in genere in meno di un minuto» aggiunge il sito da cui estrapoleremo tutti i seguenti virgolettati senza continuare a menzionarlo.