L’ITALIA NON C’È PIÚ

Da un po’ di tempo dormo male.

Mi ritiro tardi la sera ma al mattino puntualmente, verso le cinque mi sveglio. Faccio colazione, leggo i giornali del regime, quelli non allineati, controllo le notizie che mi mandano, le mail, scrivo, passeggio ma di tornare a dormire non c’è verso.

Mi continua a martellare nella mente, quel fatidico 9 marzo 2020 quando quell’essere sopravvalutato, ignorante, supponente e a me personalmente antipatico, che risponde al nome di Giuseppe Conte, si è presentato in televisione a reti unificate chiudendo il paese in lockdown e, dando inizio a tutto questo. Molti se lo sono scordato. Io no.

Mi ricordo le facce della gente, quelli che cantavano l’inno Italiano dai balconi, quelli che appendevano le lenzuola con la scritta: Andrà tutto bene.

A me tutta quella storia non mi ha mai convinto. Non sono un medico, non ho mai avuto nessun tipo di nozione a riguardo ma in ogni caso, dentro di me sentivo che qualcosa non quadrava, che c’era dietro un disegno più complicato, che in quelle prime settimane di marzo ancora non vedevo, ma che sentivo essere terribile.

Mio padre partigiano nella seconda guerra, di quel periodo non mi ha mai raccontato niente. I suoi amici mi dicevano spesso: Chi la guerra l’ha fatta veramente, chi ha rischiato a vent’anni la vita per la tua libertà, non te lo racconta. Tra le poche cose che mi raccontò, furono i fatti dell’otto settembre del ’43 fatidico giorno dell’illusorio armistizio. “Qualche cosa non quadrava” mi disse.

Così, lui con qualche amico, rubò dei fucili e andò in montagna a combattere.

La stessa sensazione mi prese in quei giorni di marzo 2020: “Qualche cosa non quadrava”.

Non so spiegare la vera ragione di quel sentore, ma fu come essere scaraventato in un infinito buco nero dal quale temevo non si sarebbe mai più usciti. Percepivo che sarebbe finita malissimo. L’ho scritto in molti miei articoli. Gli amici che in quei giorni sentivo al telefono, mi sorpresero per come invece erano così sicuri e concentrati sulla questione. Discutevano di “polmonite bilaterale”, di “difficoltà respiratorie”, come se tutti fossero luminari di medicina o premi Nobel per chissà quale scoperta o pubblicazione sui virus. Io mi sentivo annientato e schiacciato, sotto il peso di una verità che avevo dentro ma non sapevo raccontare e comunicare. Per quella mia verità ho perso amici che avevo da bambino, persone con le quali ho condiviso cose irripetibili, persone con le quali ho spartito la mia vita.

Dopo dieci giorni di quel forzato lockdown scesi in strada, presi la moto e tornai a Milano. Si perché la “chiusura” mi sorprese a Torino dove ero venuto a trovare mia mamma. Il rientro a Milano fu uno shock. La Fabbrica del Vapore, luogo dove avevo lo studio era deserta. Le strade vuote, pochissima gente in giro che passava veloce rasente ai muri e che ti evitava, cambiava marciapiede ti teneva a distanza. Tornai dagli amici e per fortuna qualcuno di loro la pensava come me. Ci ritrovammo a discutere a cercare di capire. Qualcuno proponeva strategie diverse, modi per uscire, contrastare e ribaltare tutto quello che stava succedendo. Ma io continuavo ad avere il buio dentro e quella terribile sensazione, che sarebbe finita malissimo. I giorni infatti sono diventati settimane, poi mesi, poi anni. Ogni passo avanti, portava ad una discesa negli inferi sempre più profondi.

Io continuavo a non capire come nessuno o solo pochi, si rendessero conto della reale portata e gravità della situazione, di dove e come saremmo finiti. Vedevo il paese che a poco a poco si divideva, si rassegnava, cambiava, assecondava senza dire niente questo nuovo corso, questo nuovo mondo. Piano piano mi si paventava il nuovo ordine, la nuova normalità e, come se sorgesse dalle nebbie infinite, una terribile verità mi si rivelò in modo chiaro e cristallino: l’Italia non c’era più.

Tutto quello che avevamo vissuto, visto avuto e fatto sino a quel marzo 2020, non ci sarebbe mai più stato. Ho cominciato allora a sentire un’angoscia devastante che ancora oggi, sebbene più ragionata, mi attanaglia. Ricordo perfettamente che l’unico pensiero che mi trafisse fu: cosa ne sarà dei nostri figli? Ma la cosa che mi faceva più rabbia, era che quasi nessuno mi credeva, mi capiva mi sosteneva. Come molti di noi ho perso tutto, lavoro, casa, città, amici e futuro. Poco vale ora pensare che ero nel giusto e che alcuni (pochi per la verità) sono tornati indietro a dirmi: avevi ragione. Anna Frank scriveva nel suo diario: “La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta”.

La verità oggi è che il paese è diventato cattivo, sospettoso, spietato, maleducato, consumato e brutto. Ci si combatte gli uni contro gli altri e mentre gli uni, vengono trafitti da strani malanni, da morti improvvise ma continuano a cavalcare questa narrazione che ci ha portato sin qui, gli altri si dimenano forsennatamente, si disperano, lottano scendono in piazza e cercano di raccontare a tutti, la vera faccia di questo dramma collettivo che ha cancellato per sempre il nostro bel paese.

L’Italia non c’è più ed è incredibile pensare, che una vasta moltitudine di persone oggi più che mai, pensino che la salvezza delle nostre vite, il ritorno a quello che avevamo, passi per il sostenere, fiancheggiare e promuovere questa dittatura dei potenti, che per il solo tornaconto personale sta sovvertendo un intero pianeta. Qualche giorno fa ho sentito una mia amica di Budapest che mi ha detto: “Sono contenta di non avere più 20 anni e di aver visto l’Italia quando era il paese più bello del mondo”. Come siamo riusciti a ridurci così è lampante e sotto gli occhi di tutti, ma non lo vogliamo accettare. Noi siamo sempre stati così. Siamo sempre stati quello che siamo ora, ma ci siamo cullati nell’illusorio sogno di essere “il paese più bello del mondo”, di essere amici, fratelli, di essere felici di tendere la mano a chiunque, di essere “pronti alla morte” per questo paese. “Italians do it better” recitava molti anni fa una maglietta che Madonna, la celebre pop star Americana, indossava per provocazione.

Inganno dei sensi, apparenza, abbaglio, chimera.

Siamo un popolo allo stremo, sull’orlo di una guerra civile, senza più futuro. Eppure, nei volti di molte persone carichi di vaccini, mascherine, guanti e Amuchina, che si ritrovano come derelitti nelle case o nei locali, traspare uno sguardo di vittoria, di soddisfazione per essere tornati alla normalità, per potersi rivedere nell’illusione del tempo che fu. Per tutti questi, è come se non fosse successo niente, come se tutto fosse normale, come se da sempre si sia vissuti in questa condizione. Il peggio è che tutti questi ormai, individuano il nemico numero uno da combattere, sconfiggere e annientare, in tutti coloro che invece questa “normalità” non la accettano.

Trovo affascinante questa mutazione della mente umana e l’ho scritto in un mio articolo di tempo fa dal titolo: La sindrome di Stoccolma.

https://brunomarro.blogspot.com/2021/09/la-sindrome-di-stoccolma.html

Milioni di persone che si sono fidate, che sono sicure e fedeli ai loro carnefici.

Da un po’ di tempo dormo male.

Mi ritiro tardi la sera, ma al mattino puntualmente, verso le cinque mi sveglio. Ho smesso di discutere, di parlare con le persone e cercare di capirle. Molti mi chiedono perché non andiamo via, da qualche altra parte e lasciamo questo infernale paese. Molti mi chiedono di fare qualche cosa. Altri mi scrivono di fondare un movimento, di riunire tutti e sconfiggere questo governo e tornare al paese che avevamo.

La verità è che ormai trovo impossibile raccontare come stanno realmente le cose a chi ancora non lo ha capito. A chi ancora pensa come atto di fede, che la via maestra sia una sola e, che coloro che ci comandano, hanno le idee chiare e la salute di noi cittadini come obiettivo primario.

Ho perso degli amici, il lavoro e una città che amavo. Ho davanti il tragico futuro che attende sogghignando i nostri figli e penso a quello che diceva Thomas Jefferson: I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, ma sono i governi che devono aver paura dei propri popoli.

Il nostro governo invece è nutrito, accudito e spalleggiato dalla maggioranza di questo popolo calpestato, infangato sottomesso, impaurito e deriso.

È passato davvero tanto tempo e l’Italia non c’è più.

Bruno Marro

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