Di Enrica Perucchietti
«Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione, in una situazione di guerra si devono accettare delle limitazioni alle libertà».
Comprimere le libertà e dosare l’informazione come in guerra: si possono sintetizzare così le parole che l’ex premier Mario Monti ha espresso in diretta a La7, ospite del programma In onda, tra lo stupore misto ammirazione dei padroni di casa. Nel suo discorso antidemocratico, Monti è arrivato a consigliare l’utilizzo della propaganda bellica per dosare e plasmare l’opinione pubblica in modo da eterodirigere il consenso e silenziare il dissenso che potrebbe altresì contagiare altre menti libere.
Rievocando il consueto luogo comune che equipara la pandemia alla guerra, Monti ha lasciato intendere che la censura sia necessaria nei momenti di crisi come quello odierno e ha auspicato delle “limitazioni della libertà” come un dosaggio delle informazioni da parte dei media. Ha impartito una lezione di censura e propaganda ai due conduttori, evocando una modalità Ministero della Verità orwelliano: “dosare”, ossia selezionare le informazioni, scartando quelle scomode (la tecnica del cherry picking) e silenziare quelle scomode per garantire l’infallibilità del sistema e la sopravvivenza della narrativa pandemica.
Ora, queste parole, per quanto forti ed eversive non dovrebbero stupire. Semmai devono indignare dato che palesano il disprezzo del senatore per la democrazia, le libertà fondamentali e i diritti. Eppure, non devono sorprendere, dato che Monti è uno di quei “padroni delle idee” che non ha mai nascosto il suo disprezzo per la libertà e la sovranità. Il suo governo tecnico ha dimostrato che esistono delle riforme che devono essere realizzate a tutti i costi, al di là della volontà popolare. Monti subentrò per realizzare misure che non erano state né dibattute dalle istituzioni, né sottoscritte dal consenso popolare, ma erano eterodirette dall’oligarchia eurocratica.
Facciamo un passo indietro e ricordiamo quando l’ex premier “tecnico” Mario Monti – membro della Commissione Trilaterale e del Club Bilderberg – nel febbraio del 2011, dichiarò con convinzione che «abbiamo bisogno di crisi, per fare dei passi avanti».
Il suo pensiero echeggiava la dottrina economica dello shock elaborata dal premio Nobel Milton Friedman, che sfrutta i momenti di trauma collettivo per dedicarsi a misure radicali di ingegneria sociale ed economica: in Capitalismo e libertà, il suo più importante libro, edito nel 1962, egli aveva infatti osservato che
«soltanto una crisi – reale o percepita – produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano […] finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile».
In estrema sintesi, come ha anche spiegato Naomi Klein in Shock Economy, le riforme liberiste sarebbero applicabili solo tramite shock violenti che pieghino la volontà dell’opinione pubblica fino a farle accettare delle riforme che normalmente non verrebbero accolte perché impopolari o addirittura liberticide. Il “capitalismo dei disastri” sfrutta infatti momenti di shock quali golpe, attacchi terroristici, crollo dei mercati, disastri naturali, guerra, che gettano la popolazione in uno stato di shock collettivo, per spingere i cittadini ad accettare manovre impopolari che in una condizione normale non tollererebbero.
Sull’onda dell’emotività di eventi tragici che coinvolgono la mente e la “pancia” dell’opinione pubblica, si possono introdurre provvedimenti che sarebbero stati inimmaginabili in un clima sociale sereno.
Come ha spiegato lo stratega polacco Zbigniew Brzezinski, membro del CFR e cofondatore della Commissione Trilaterale, già consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto Jimmy Carter, per ottenere il consenso dell’opinione pubblica e l’accettazione di gravi sacrifici, l’unico modo è che si palesi una «minaccia estrema e globale». Soltanto la “percezione” di un pericolo estremo, immediato e diffuso può compattare la popolazione e spingerla ad accettare sacrifici altrimenti impensabili. Non è però necessario che tale minaccia sia effettivamente reale o che la sua genesi − qualora effettivamente si manifesti − sia avvenuta nel modo in cui verrà divulgato alle masse.
Brzeziski, come anticipato, è stato il cofondatore della Commissione Trilaterale, di cui lo stesso Monti è stato rappresentante europeo nel biennio 2010-2011. Nata con l’intento dichiarato di sviluppare i rapporti tra gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone, la Commissione Trilaterale è un’organizzazione non governativa e apartitica fondata nel 1973 da David Rockefeller.
Come ho ampiamente spiegato in Coronavirus. Il nemico invisibile (Uno Editori), nel 1974 Brzezinski, pubblicò le conclusioni del saggio The Crisis of Democracy (La crisi della democrazia, pubblicato in Italia con la prefazione di Gianni Agnelli) a cura di Samuel Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nel rapporto si sottolineava il «bisogno di instaurare un dialogo tra il Dipartimento di Stato e le multinazionali» e si affermava che una repubblica democratica «è l’unica via per imporre l’autorità, ma non necessariamente è applicabile in tutti i suoi rapporti». Uno degli intenti primari era quello di limitare da quel momento in poi la sovranità nazionale dei vari Paesi per poter porre le basi per la creazione di un governo unico, un potere economico mondiale superiore a quello politico delle singole nazioni. Sarebbero state ovviamente necessarie delle crisi – quelle auspicate dallo stesso Monti – per convincere i singoli Paesi a rinunciare progressivamente alla propria sovranità nazionale.
Oggi la paura (inoculata quotidianamente dai media mainstream, dai loro bollettini dei morti e dalla loro criminologia sanitaria) ha indotto nell’opinione pubblica l’idea che si debba per forza scegliere tra salute e libertà per poter tornare a sentirsi “sicuri”. Si è convinta la popolazione della necessità di cedere libertà, privacy, diritti fondamentali, mostrando una cieca e passiva obbedienza nei confronti dell’autorità.
I poteri dominanti hanno calato la maschera: la tecnocrazia ha deciso di sfruttare come un pretesto la pandemia per stringere le maglie del controllo sociale e traghettarci, mansueti disorientati e spaventati, verso una tirannia terapeutica, abbandonando i paradigmi della democrazia per sostituirli con nuovi provvedimenti autoritari e dispositivi governativi basati sulla “biosicurezza”.