IL VESCOVO ECOLOGISTA CI RIPENSA?

Un vescovo ecologista che auspicava una «conversione ecologica globale», sembrerebbe essersi riconvertito. Si dice che si sia fatto portare un abete rosso di 113 anni, appositamente sradicato dalla terra d’origine ed esiliato nella grande piazza del suo piccolo regno, da dove il mesto tronco, alla fine delle feste natalizie, sarà asportato e abbandonato al suo ineluttabile destino. Proprio quel candido vescovo, non molti anni fa, in un famoso documento scriveva:

Se «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi», la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana.

Parlava per gli altri o anche per sé? Le sue stesse parole testimonierebbero oggi contro di lui. In primo luogo, sembrerebbe, infatti, che Sua Eccellenza non sia stato in grado di convertirsi ecologicamente, e non pago di un albero qualsiasi, ne abbia fatto sradicare uno centenario. Anche Sua Eccellenza, come tanti, con il «pretesto del realismo e della pragmaticità», benché «impegnato e dedito alla preghiera», si è fatto «beffe delle preoccupazioni per l’ambiente». «Passivo», non si è deciso a «cambiare le proprie abitudini ed è diventato incoerente» (cioè, predica bene ma razzola male, come dicono a Roma). Quo igitur conversio tua episcope? «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio» non è, forse, «parte essenziale di un’esistenza virtuosa»? Quo virtus tua?

Sosteneva inoltre il vescovo:

Ricordiamo il modello di san Francesco d’Assisi, per proporre una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona. Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro.

Ci domandiamo, allora: non sarebbe il caso che qualcuno faccia un passo indietro coerentemente con quanto predicato, riconoscendo i propri errori (non solo ecologici), pentendosi di cuore e cambiando dal didentro? Che sia, forse, di quelli che «super cathedram Moysi … amant autem primos recubitus in coenis, et primas cathedras in synagogis, et salutationes in foro, et vocari ab hominibus Rabbi»?

Umilmente osiamo ricordare a Sua Eccellenza, l’ammonimento di nostro Signore, non tanto per il povero abete, ma per tutti quegli alberi rigogliosi che stanno disseccando a causa delle acque che Assenzio ha reso amare:

EGO QUOS AMO, ARGUO, ET CASTIGO.

AEMULARE ERGO, ET POENITENTIAM AGE

(Ap 3,19)