ONG & TRATTA DEI MIGRANTI: Tribunale di Catania archivia 7 Querele degli Avvocati di Civitas. Il Caso all’Aja

Nell’immagine di copertina la nave Eleonore e gli avvocati denuncianti Pellegrino (sx) e Ferrari (dx)

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

«Nel caso in esame, nulla autorizza a sostenere che esista un accordo sia pure tacito tra soccorritori e trafficanti. Puramente congetturale è la tesi accusatoria secondo cui alla base dell’azione di soccorso delle ONG vi sarebbe la consapevolezza di queste ultime di rafforzare il traffico di esseri umani gestito dalle organizzazioni criminali africane».

E’ quanto ha scritto il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Catania, dottor Luigi Barone, archiviando la raffica di denunce formalizzate dagli avvocati milanesi Giuseppe Pellegrino ed Alberto Ferrari per conto dell’associazione Civitas, nonostante una precedente opposizione.

Si ripete, dunque, lo scenario già visto nel maggio 2019 quando un altro Gip dello stesso Tribunale diede la patente di onestà ad una delle ONG cui era stata pure sequestrata la nave.

“Non ci sono prove di contatti tra ong e scafisti“. Così anche allora un altro giudice (Nunzio Sarpietro) aveva accolto la richiesta del procuratore Carmelo Zuccaro, titolare delle indagini, di archiviare l’inchiesta aperta nei confronti del comandante Marc Reig Creus e del capo missione Ana Isabel Montes Mier della nave della ong spagnola ProActiva Open Arms. Erano indagati per associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina per lo sbarco a Pozzallo (Ragusa), nel marzo 2018, di 218 migranti soccorsi al largo della Libia.

Il 17 dicembre 2021, invece, è stata depositata la nuova archiviazione per l’ancor più grave reato di tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù denunciata dall’associazione Civitas sulla base di inequivocabili testimonianze sul traffico di migranti.  Mentre la giustizia appare incapace di trovare prove di colpevolezza gli sbarchi continuano senza sosta e lo sfruttamento dei clandestini pure…

«Sicuramente sul tema della tratta c’è molta ignoranza. Ma a volte pare ci sia anche poca volontà di comprendere la portata del problema. Perché? Perché tocca da vicino le nostre coscienze, perché è scabroso, perché ci fa vergognare. C’è poi chi, pur conoscendolo, non ne vuole parlare perché si trova alla fine della “filiera del consumo”, quale utilizzatore dei “servizi” che vengono offerti sulla strada o su internet. C’è, infine, chi non vuole che se ne parli, in quanto coinvolto direttamente nelle organizzazioni criminali che dalla tratta traggono lauti profitti».

Con queste parole Papa Francesco il 12 febbraio 2018 si rivolse ai partecipanti alla IV giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone.

Sono trascorsi 4 anni, la Direzione Investigativa Antimafia ha pubblicato inquietanti dossier sul ruolo dei club nigeriani nello sfruttamento degli esseri umani, ma la piaga ancora è ben lontana dall’essere sanata per un approccio “politico” del potere giudiziario che confuta ogni correlazione tra ONG e trafficanti di migranti persino quando viene esposto da due avvocati che stanno patrocinando 10 delle vittime di inaudite violenze in un’inchiesta davanti alla Corte Penale Internazionale de L’Aja.

L’ordinanza di archiviazione del Gip del Tribunale di Catania – link al testo integrale a fondo pagina

«Il procedimento in esame trae origine da sette querele sporte dall’associazione Civitas în relazione ad altrettante operazioni di recupero in mare effettuate da associazioni non governative nel biennio 2019-20. Nello specifico, la denunciante lamenta che le ONG Sea-Eye, Mission Life, Sos Méditerranée Italia Onlus e Open Arms, attraverso le operazioni di ricerca e soccorso di migranti effettuate nel Mar Mediterraneo tra le coste libiche e quelle italiane, avrebbero posto in essere un’attività di trasporto integrativa di quella svolta dalle organizzazioni criminali africane, concorrendo in tal modo nel reato di tratta di esseri umani previsto dall’art. 601 c.p» scrive il Gip di Catania.

«Nella prospettazione accusatoria emergerebbe il ruolo causalmente rilevante delle ONG all’interno del disegno criminoso delle organizzazioni criminali africane che avrebbero come obiettivo il trasporto sul territorio italiano di centinaia di migranti ridotti in schiavitù al fine di trarne profitto» si legge nelle premesse dell’ordinanza di archiviazione che pubblichiamo in anteprima.

CIVITAS IN DIFESA DEI MIGRANTI DAVANTI ALLA CORTE DELL’AJA

L’Associazione Civitas trae origine dall’attività difensiva di due avvocati, entrambi associati, che nell’arco di un triennio (2015-2018) hanno difeso «circa una cinquantina di richiedenti protezione internazionale, ma anche per l’accertamento di un vasto meccanismo criminale organizzato che si estende non solo sul suolo africano, ma anche sul territorio della Repubblica: la tratta di esseri umani ridotti in schiavitù» precisano Pellegrino, presidente di Civitas, e Ferrari, difensore del sodalizio milanese.

Ma dove prendono le mosse le denunce? «Tra gli assistiti solo dieci persone provenienti dall’Africa occidentale, all’esito di un lungo processo di integrazione e di acquisizione di consapevolezza di quanto vissuto, hanno deciso di denunciare la tratta come crimine internazionale, chiedendo l’apertura di una situazione da parte dell’Ufficio del Procuratore (di seguito OTP , Office of the Prosecutor) presso la Corte Penale Internazionale (di seguito ICC) nei confronti dei quattro paesi di transito (Mali, Burkina Faso, Niger e Libia) e di quello di arrivo (Italia) della rotta da loro percorsa».

Scoperto il “vulnus” del problema i due legali si sono improvvisati detectives documentali tenendo sotto controllo gli sbarchi grazie al monitoraggio quotidiano avviato nel 2019 dal Governo Conte bis. In corrispondenza agli arrivi massivi di migranti hanno analizzato e certificato il relativo comportamento delle ONG.

 Gli avvocati dell’associazione milanese Civitas, il presidente Giuseppe Pellegrino (dx) e il difensore Alberto Ferrari (sx)

«Delle circostanze specifiche inerenti all’attività di soccorso e trasporto svolto dalla nave Eleonore, esitata nello sbarco nel porto di Pozzallo in data 2 settembre 2019, l’esponente Associazione non dispone di alcuna informazione che non sia rintracciabile sulle fonti libere, tra cui lo stesso sito dell’NGO Mission Lifeline» si legge sulla singola querela contro ignoti finita all’attenzione della Procura della Repubblica di Catania come le altre riferite ad altri salvataggi ritenuti sospetti dai denuncianti.

Il 3 settembre la Procura di Ragusa aveva iscritto nel registro degli indagati il comandante e il capo missione della nave Eleonore dell’ong tedesca Mission Lifeline, entrata ieri nel porto con 104 migranti, dopo avere dichiarato lo stato di emergenza, forzando il divieto imposto dalle autorità italiane. La magistratura di Ragusa aveva aperto infatti un’inchiesta sull’arrivo della nave Eleonore della ong Mission Lifeline a Pozzallo delegando la squadra mobile del capoluogo per svolgere indagini e verificare se ci sono state violazioni penali.

Per loro l’ipotesi di reato era stata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma per gli avvocati di Civitas il modus operandi è sistemico, pertanto non occasionale, costituendo così la ben più grave violazione di tratta di esseri umani.  «Abbiamo segnalato alla magistratura la metodologia degli sbarchi, indicando anche come temi di indagini l’intercettazione delle comunicazioni radio tra le ONG di soccorso ed eventuali segnalatori delle coste libiche su AlarmPhone» spiegano Pellegrino e Ferrari.

«L’associazione denunciante non è a conoscenza di alcuno dei seguenti elementi, che potranno comunque essere accertati e ricostruiti in corso d’indagine: le finalità della navigazione in mare; la giustificazione della navigazione alle autorità portuali in occasione della partenza e dell’arrivo nei porti; le modalità concrete dell’attività di ricerca dei natanti in mare: osservazione aerea piuttosto che contatto radio o telefonico con i trafficanti libici; i contatti con le navi da guerra, quelle governative assegnate a funzioni diverse dalla difesa del territorio e delle acque territoriali, nonché con le Autorità militari alle medesime sovraordinate; i contatti con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, se del caso, per le eventuali attività di pattugliamento ed avvistamento aereo» si legge nell’esposto di Civitas.

«Il modesto apporto nell’accertamento dei fatti che l’associazione Civitas può rendere in questa sede si limita, infatti, alle dichiarazioni rese: dalle dieci vittime che hanno denunciato la tratta all’OTP (soci protetti all’interno dell’Associazione), da altri trentatré testimoni che hanno comunque personalmente subito l’esperienza della tratta durante il loro viaggio verso l’Italia (docc. 16-48); nel corso di dieci audizioni collettive durante le quali si sono confrontate le esperienze individualmente vissute» hanno aggiunto nella denuncia gli avvocati.

«La narrazione resa da tutte le persone sentite concerne le due rotte, maliana e nigerina, che collegano i paesi dell’Africa occidentale alla Libia. Scarsa consapevolezza si è manifestata in ordine alle modalità di organizzazione delle attività di pattugliamento e recupero in Mediterraneo ed al loro coordinamento con i trafficanti libici che organizzano le partenze dei natanti dalla costa, oltreché al ruolo del personale militare locale nel contesto complessivo della tratta».

Ma «un dato in fatto comunque è stato coerentemente riferito: quasi tutti i gommoni avviati in mare in piena notte (gli orari di partenza erano sempre intorno alla mezzanotte-due del mattino) erano affidati a due migranti (non trafficanti appartenenti alle organizzazioni criminali libiche, in gergo denominati Asma Boys) tra il centinaio di persone imbarcate. Di questi uno aveva la responsabilità del timone e l’altro della bussola e del telefono satellitare, su cui era già memorizzato il numero telefonico per la richiesta dei soccorsi: un canale diretto, pertanto, lega tra loro i trafficanti libici ed i volontari delle organizzazioni non governative».

A giudizio dei due legali di Civitas esistevano elementi concreti sulla base dei quali la magistratura avrebbe potuto indagare in modo approfondito, confrontando date dei soccorsi con allarmi, intercettazioni ecc. Ma la loro “buona volontà” si è scontrata con un primo enorme ostacolo. La derubricazione del reato.

«Il pubblico ministero ha proceduto all’iscrizione della notitia criminis sussumendola sotto la fattispecie di cui all’art. 12 d.igs. 286/98 T.U. Immigrazione (nello specifico favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – ndr). In tal senso, contrariamente aquanto contestato dall’opponente (v. memoria difensiva), la scelta della qualificazione operata dalla pubblica accusa, lungi dal rappresentare un mancato esercizio dell’azione penale, è invece espressione di un potere espressamente previsto dal codice di rito ex. art 335 c.p.p» ha sentenziato il Gip di Catania legittimando la cancellazione della pesantissima ipotesi accusatoria di tratta di esseri umani ridotti in schiavitù.

«Se infatti è riconosciuta ad ogni soggetto privato la facoltà di denunciare fatti dei quali sì abbia notizia, spetta poi al pubblico ministero, proprio in veste di titolare dell’azione penale, procedere all’iscrizione della notizia e alla qualificazione del fatto dallo stesso ritenuta più corretta, tenuto conto anche degli elementi emersi nel corso delle indagini» si legge nell’ordinanza.

Quali siano tali elementi ancora non è ben chiaro ma per il giudice delle indagini preliminari «tanto premesso, è pienamente condivisa dal giudice la qualificazione giuridica conferita dal pubblico ministero ai presunti fatti di reato denunciati; ciò nondimeno questi appaiono destituiti di fondamento probatorio».

Dopo l’espressione giuridica arriva però anche l’esternazione politica in senso “buonista”… (continua a leggere)

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