Un’altra sentenza, finora con la condanna più pesante nei confronti dell’ASL, arriva da Ivrea.
Articolo da Eventi Avversi News
Con una lunga sentenza (la N.179 del 1 luglio 2022), che riportiamo di seguito in forma integrale, il Tribunale ha riconosciuto l’illegittimità della sospensione di un OSS con mansioni amministrative non vaccinato e ha condannato l’ASL TO3 ad oltre 10.000 euro di spese (7.025 euro oltre rimborso spese forfettarie del 15%, iva, cassa di previdenza e assistenza e contributo unificato) e a corrispondere al ricorrente tutti gli arretrati maggiorati degli interessi legali.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA
Sezione Civile – Lavoro
in persona della dott.ssa Magda D’Amelio,
all’udienza del 1/07/2022 , ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente
SENTENZA
XXXXXX – PARTE RICORRENTE
- contro ASL DI COLLEGNO E PINEROLO TO3 , c.f. XXXXXX,
ass. avv. XXXXXXX – PARTE CONVENUTA
- Oggetto: sospensione per inadempimento obbligo vaccinale
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Il presente giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione comminato al signor XXXXX dalla ASL TO 3 per non avere ottemperato all’obbligo vaccinale anti Sars Cov 2 previsto dall’art. 4 D.L. 44/2021.
Il signor XXXXXX è dipendente della ASL TO 3 con formale inquadramento di OSS.
Egli, tuttavia, a decorrere dal 1.9.2018, dopo essere stato ritenuto idoneo alla mansione con prescrizioni, è stato adibito ad attività di tipo esclusivamente amministrativo presso l’anagrafe zootecnica e degli animali da affezione ubicata in Venaria Reale.
Entrato in vigore il D.L. 44/2021, il SISP inviava al signor XXXXX lettera raccomandata con la quale gli chiedeva di produrre la documentazione attestante l’effettuazione della vaccinazione anti Sars CoV 2 ovvero la documentazione attestante l’esonero o il differimento dall’obbligo nel termine di cinque giorni dal ricevimento della stessa. Il signor XXXXX rispondeva facendo
presente di svolgere da oltre tre anni mansioni esclusivamente amministrative e chiedeva, pertanto, di essere sollevato dall’obbligo anche per timore che il vaccino potesse interferire con le pluripatologie di cui lo stesso è portatore. Al che il SISP chiedeva una formale dichiarazione da parte del datore di lavoro attestante il suo stato lavorativo. Il signor XXXXX trasmetteva, dunque, le dichiarazioni della dott.ssa XXXXX, direttore della S.C. Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di Lavoro dell’ASL TO 3, e del dott. XXXXXX, sostituto del direttore della S.C. Sanità animale, con le quali gli stessi attestavano che il lavoratore svolgeva mansioni esclusivamente di tipo amministrativo pur essendo formalmente inquadrato quale OSS. Nonostante ciò, con provvedimento del 23.11.2021 il datore di lavoro disponeva la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per inosservanza dell’obbligo vaccinale previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui al D.L. 44/2021 sino al 31 dicembre 2021.
Il signor XXXXX contestava il provvedimento ribadendo di svolgere funzioni meramente amministrative e ne chiedeva la revoca. Tuttavia, la missiva rimaneva priva di riscontro. L’impugnazione veniva, dunque, reiterata a mezzo del proprio difensore. In data 24 dicembre 2021 l’ASL TO 3 confermava il proprio provvedimento sulla scorta della considerazione che il signor XXXXXX, essendo ancora formalmente inquadrato come Operatore Socio Sanitario e non avendo mai chiesto il formale passaggio ad un diverso profilo, rientrava nel novero dei destinatari dell’obbligo vaccinale.
In data 28 dicembre 2021, stante l’approssimarsi dell’originario termine di scadenza del provvedimento sospensivo, l’ASL comunicava al ricorrente che per effetto del D.L. 172/20 21 il termine di efficacia della sospensione era stato differito al 14 giugno 2022. Il signor XXXXX, dunque, nel preannunciare la propria volontà di impugnare giudizialmente i provvedimenti di sospensione di cui era risultato destinatario, chiede va il pagamento degli assegni previsti dall’art. 82 D.P.R. 3 /1957. L’ASL , però, rigettava anche detta richiesta.
In data 25 gennaio 2022 egli chiedeva, poi, di essere riammesso in servizio svolgendo la propria attività da remoto; anche questa volta, però, l’ASL riscontrava negativamente la richiesta del lavoratore. Il signor XXXXX instaurava, dunque, il presente giudizio lamentando l’illegittimità del provvedimento di sospensione irrogato gli per i seguenti motivi:
a) egli non rientrerebbe nel novero dei soggetti destinatari dell’obbligo vaccinale atteso che le sue mansioni sono di tipo esclusivamente amministrativo;
b) in ragione delle pluripatologie da cui è affetto e del suo status di invalido civile al 67% e portatore di handicap ex art. 3 L. 104/1992 egli è qualificabile quale lavoratore fragile e, dunque, da un lato non sarebbe assoggettato all’obbligo vaccinale e dall’altro l’asl avrebbe il dovere di fargli svolgere le proprie mansioni da remoto;
c) la vaccinazione sarebbe una misura del tutto in efficace nel prevenire il contagio e, dunque, la limitazione dei diritti costituzionali del lavoratore sarebbe priva di giustificazione;
d) l’ASL non aveva adempiuto al proprio onere di verificare la presenza di mansioni disponibili che non prevedessero contatti interpersonali a cui adibire il ricorrente . Infine, il ricorrente lamentava il diniego opposto dall’ASL a corrispondergli durante il periodo di sospensione gli assegni previsti dall’art. 82 D.P.R. 3/1957.
Il signor XXXXX chiedeva, pertanto, che il giudice accertata l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione ordinasse all’ASL di riammetterlo in servizio e la condannasse a pagare le differenze retributive medio tempore maturate. L’ASL TO 3 si costituiva tempestivamente in giudizio difendendo la correttezza del proprio operato. La stessa deduceva che, a fronte del formale inquadramento del ricorrente come OSS, nessun rilievo potesse ascriversi alle mansioni effettivamente espletate, anche il ragione dello ius variandi del datore di lavoro che in qualsiasi momento avrebbe potuto reimpiegarlo nelle originarie mansioni: egli, dunque, era a pieno titolo destinatario dell’obbligo vaccinale e, non avendovi adempiuto, necessariamente era stato sospeso. Osservava, inoltre, come le mansioni espletate implicassero contatti con i due veterinari del complesso, nonché con i proprietari degli animali da affezione e con gli allevatori; dunque, anche con riferimento alle mansioni specifiche espletate, sussisteva quella condizione di rischio di propagazione del virus che giustificava l’obbligo vaccinale. Deduceva, poi, come l’art. 2 D.L. 172 /2022 a decorrere dal 15 dicembre 2021 avesse esteso l’obbligo vaccinale previsto nel D.L. 44/2021 anche al personale amministrativo operante nelle strutture sanitarie e che il successivo D.L. 1/2022 avesse introdotto l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori che avessero compiuto il cinquantesimo anno di età. Alla luce delle normativa sopravvenuta , dunque, l’ASL non avrebbe comunque potuto ricevere la prestazione lavorativa del signor XXXXXXX posto che l’assoggettamento all’obbligo vaccinale discendeva anche da dette norme.
Contestava, inoltre, la possibilità del ricorrente di svolgere la propria mansione in modalità agile e rilevava come l’ASL avesse affidato ad un’apposita commissione il compito di individuare mansioni alternative per i soggetti non vaccinati. Tale indagine aveva, tuttavia, avuto esito negativo, con la conseguenza che nulla poteva essere rimproverato al datore di lavoro neanche in termini di mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage .
Da ultimo eccepiva l’infondatezza della domanda volta ad ottenere il pagamento degli assegni ex art. 82 D.P.R. 3/1957 atteso che detta norma si riferisce al lavoratore sospeso in via cautelare e, dunque, ad una fattispecie diversa da quella oggetto di giudizio. All’udienza odierna le parti davano atto che il lavoratore era stato riammesso in servizio in data 19 aprile 2022 avendo egli contratto la malattia ed essendone poi guarito.
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L’art. 4 D.L. 44/202 0 nella versione ratione temporis applicabile recita:
1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS -CoV -2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’ articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’ articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 , che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS -CoV -2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano.
6. Decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS -CoV -2 .
8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.
9. La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. La disposizione in commento, al dichiarato fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza ha previsto l’obbligatorietà del vaccino per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario che operino all’interno di strutture ospedaliere, RSA o studi privati, considerando la vaccinazione per il Covid -19 requisito essenziale per l’esecuzione della prestazione lavorativa.
Come noto, al momento dell’introduzione della disposizione, non vi erano altre categorie professionali assoggettate all’obbligo vaccinale. È evidente, dunque, che la scelta della categoria cui è stato imposto l’obbligo vaccinale non è stata casuale: si tratta, infatti, di soggetti che operano a stretto contatto con quella categoria di persone che, una volta infettatasi, sconta un’alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave con esiti anche mortali. Il legislatore ha, quindi, scelto di limitare la libertà di autodeterminazione dell’appartenente a dette categorie al fine di salvaguardare il bene salute dei soggetti più fragili che si trovano costretti ad avere contatti con i primi in quanto bisognosi di cure. La sospensione dal servizio, nell’ottica del legislatore, non si configura, dunque, come una misura punitiva; la stessa, invece, risponde all’esigenza di allontanare il lavoratore che, in quanto non vaccinato, viene considerato una fonte di rischio per quei soggetti fragili che con lo stesso devono necessariamente venire a contato. Così ricostruita la ratio della norma è allora evidente che, al fine di determinare se in capo al lavoratore sussista o meno l’obbligo in oggetto, ciò che rileva non è il suo formale inquadramento, ma le mansioni in concreto esercitate. Infatti, solo qualora nella fattispecie concreta si ravvisi quel rischio specifico che il legislatore ha voluto neutralizzare risulta giustificata la compressione del diritto di autodeterminazione del singolo e può configurarsi l’obbligo vaccinale.
Nel caso di specie è pacifico, oltre che provato documentalmente, che il signor XXXXXX svolge mansioni amministrative. In ragione di ciò non può che concludersi che lo stesso sfugge dal campo di applicazione del disposto di cui all’art. 4 D.L. 44/2021. Non porta a conclusioni diverse l’obiezione fatta dall’ASL secondo la quale il signor XXXXXXX entra a contatto con svariati soggetti quali allevatori e proprietari di animali i quali ben potrebbero essere soggetti anziani o portatori di gravi patologie. Non è, infatti, questo il rischio specifico che ha indotto il legislatore a introdurre l obbligo vaccinale; i soggetti con cui si relazione il signor XXXXXX non sono necessariamente anziani e/o uno stato di salute compromesso e non sono esposti necessariamente a contatti stretti e ravvicinati con il lavoratore. Un con to è, infatti, l’impiegato in attività di front office (quale è il ricorrente) che può tenersi a distanza dagli utenti e può anche essere fisicamente separato da questi mediante barriere fisiche di plexiglass; altro è il medico o l’operatore sanitario che visita il paziente, gli somministra la terapia e si occupa della sua igiene personale, con un conseguente contatto prolungato e ravvicinato. Il rischio che si correla all’attività lavorativa del ricorrente non è dunque dissimile ed anzi appare decisamente inferiore a quello propri o della cassiera al supermercato, ovvero a quello dell’impiegato delle poste o della banca. Tutti questi lavoratori entrano giornalmente a contatto con una pluralità di clienti, molti dei quali anziani e probabilmente anche con patologie. Eppure il legislatore non ha previsto l obbligo vaccinale per queste categorie di persone.
Non può, dunque, che concludersi nel senso che, mancando il rischio specifico che la norma mira a neutralizzare, è inconfigurabile un obbligo di vaccinarsi a carico del lavoratore e conseguentemente non risulta giustificata la sua sospensione dal servizio. Quanto sin qui detto sarebbe sufficiente per accogliere la domanda .
Il datore di lavoro ha giustificato la sospensione dal servizio richiamando l’inadempimento all’obbligo vaccinale previsto dall’art. 4 D.L. 44/2021. È, dunque, in relazione a detta fattispecie che deve essere vagliata la legittimità del provvedimento e non con riferimento a distinte fattispecie introdotte da norme sopravvenute. In ogni caso, e a meri fini di completezza, si prosegue nell’analisi delle tesi difensive esposte dall’ASL al fine di dimostrarne l infondatezza.
L’ASL fonda la salvezza del provvedimento di sospensione sulla normativa sopravvenuta che, estendendo l’obbligo vaccinale dapprima a quanti svolgano attività amministrativa nell’ambito di strutture sanitarie e poi a tutti i lavoratori ultracinquantenni, avrebbe comunque reso la prestazione del ricorrente irricevibile. L’art. 4 ter D.L. 44/2021 nella versione prevista dall’art. 2, comma 1, L.172/2021 recita:
Dal 15 dicembre 2021, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS -CoV -2 di cui all’articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID -19 previsti dall’articolo 9, comma 3, del decreto -legge n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie :
c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all’articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4 – bis (…) . I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l’adempimento del predetto obbligo vaccinale acquisendo le informazioni necessarie anche secondo le modalità definite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Nei casi in cui non risulti l’effettuazione della vaccinazione anti SARS -CoV -2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure l’attestazione relativa all’omissione o al differimento della stessa ai sensi dell’articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell’invito, o comunque l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento all’obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all’interessato. L’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell’interessato al datore di lavoro dell’avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021.
A sua volta, l’art. 8-ter, comma 1, D.lgs 502/1992 recita: La realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie sono subordinate ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione di nuove strutture, all’adattamento di strutture già esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all’ampliamento o alla trasformazione nonché al trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie:
- strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti;
b) strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio;
c) strutture sanitarie e socio-sanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno. Si è detto che il signor XXXXXX svolge la sua mansione presso l’Anagrafe zootecnica e degli animali da affezione della S.C. Sanità Animale del Dipartimento di Prevenzione dell’A.S.L. TO3, ubicata a Venaria Reale nell’ex Presidio Ospedaliero. È pacifico che dal dicembre del 2019 l’edificio non è più destinato alla cura o all’assistenza dei pazienti ed è altresì ubicato a distanza dalle strutture ospedaliere. Pertanto la fattispecie oggetto di giudizio non può essere sussunta nella fattispecie astratta invocata; anche sotto questo aspetto, dunque, il provvedimento di sospensione risulta illegittimo in quanto irrogato ad un lavoratore non sottoposto ad obbligo vaccinale. Infine, l’art.1, comma 1, D.L. 1/2022 ha introdotto l’art. 4-quater il quale, nella sua formulazione originaria, recita:
1. Dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e fino al 15 giugno 2022, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS -CoV -2, di cui all’articolo 3-ter, si applica ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 , che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4, 4-bis e 4-ter.
3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche a coloro che compiono il cinquantesimo anno di età in data successiva a quella di entrata in vigore della presente disposizione, fermo il termine del 15 giugno 2022, di cui al comma 1. Il richiamato art. 3-ter chiarisce che l’adempimento dell’obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dell’infezione da SARS -CoV -2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021 , la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute.
Non vi è dubbio che il ricorrente, alla data di entrata in vigore della disposizione, avesse già compiuto cinquanta anni. Tuttavia, ciò non è sufficiente al fine di ritenere legittimo il provvedimento di sospensione. È, infatti, necessario rinvenire il fondamento normativo che giustifichi la misura.
Si ricorda, infatti, che in relazione ai sanitari e alle altre categorie professionali per le quali è stato di volta in volta introdotto l’obbligo vaccinale, il legislatore ha espressamente chiarito che il vaccino costituiva un requisito per l’esercizio della professione e ha previsto l’automatica sospensione dello stesso a seguito dell’avvenuto accertamento dell’inottemperanza all’obbligo vaccinale.
Nel caso di specie il legislatore si è mosso in direzione diversa: non ha considerato il vaccino requisito per l’espletamento della mansione e non ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di sospendere il soggetto non vaccinato dal servizio; ha, invece, introdotto una sanzione pecuniaria e disciplinato i requisiti per l’accesso ai luoghi di lavoro. L’art. 4-quinquies, infatti, nella sua versione originaria, richiedeva ai lavoratori ultracinquantenni di essere in possesso e di esibire la certificazione verde Covid 19 da vaccinazione o guarigione al fine di accedere sul luogo di lavoro. In difetto, il lavoratore sarebbe stato considerato assente ingiustificato, senza diritto alla retribuzione, ma con diritto alla conservazione del posto. Successivamente la norma è stata modificata e, a decorrere dal 25 marzo 2022, ai fini dell’accesso sui luoghi di lavoro è stato ritenuto sufficiente il possesso del cd. green pass base, ovvero quello ottenuto mediante semplice test.
L’art. 8 del D. L. 24/2022, comma 6, dispone, infatti, che: L’articolo 4-quinquies del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76 , è sostituito dal seguente:
Art. 4-quinquies (Impiego delle certificazioni verdi COVID -19 nei luoghi di lavoro per coloro che sono soggetti all’obbligo vaccinale ai sensi degli articoli 4 -ter.1, 4 -ter.2 e 4 -quater).
– 1. Fermi restando gli obblighi vaccinali e il relativo regime sanzionatorio di cui all’articolo 4-sexies, i soggetti di cui agli articoli 4-ter.1, 4-ter.2, comma 3, ultimo periodo, e 4-quater, fino al 30 aprile 2022, per l’accesso ai luoghi di lavoro, devono possedere e, su richiesta, esibire una delle certificazioni verdi COVID -19 da vaccinazione, guarigione o test, cosiddetto green pass base di cui all’articolo 9, comma 1, lettera a -bis ), del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87 . Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 9-ter .1, 9-ter .2, 9-quinquies , 9-sexies , 9-septies , 9-octies e 9-novies del decreto-legge n. 52 del 2021 .»
Così ricostruito il quadro normativo, risulta chiaro come il legislatore non abbia mai previsto la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per i lavoratori ultracinquantenni. In origine il vaccino costituiva uno dei presupposti insieme all’avvenuta guarigione – per ottenere il cd. green pass rafforzato, necessario per accedere sul luogo di lavoro. In ogni caso, poi, a decorrere dal 23 marzo 2022 il lavoratore avrebbe potuto accedere al luogo di lavoro sottoponendosi a i test antigenici o molecolari e ottenendo così il cd. green pass base. Possibilità, tuttavia, che al signor XXXXX è stata preclusa dall’illegittimo provvedimento di sospensione.
In sintesi e per concludere:
il ricorrente non può essere ricompreso tra i destinatari dell’obbligo vaccinale ex art.4 D.L. 44/2021 in quanto attende a mansioni squisitamente amministrative; egli, inoltre, non può essere ricompreso tra i destinatari dell’obbligo vaccinale ex art.4-ter D.L. 44/2021 in quanto non svolge le sue mansioni presso strutture dedicate all’assistenza e al ricovero dei pazienti; da ultimo, la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest’ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino. In ragione di quanto sin qui esposto, il provvedimento di sospensione risulta illegittimo;
l’ASL deve, dunque, essere condannata a pagare al ricorrente le somme maturate e non percepite nel periodo di illegittima sospensione, maggiorate degli interessi di legge, dal dovuto al saldo effettivo.
Non si annulla il provvedimento di sospensione e non si dispone la riammissione del lavoratore in servizio atteso che sul punto la materia del contendere risulta cessata; il ricorrente è, infatti, già stato riammesso in servizio a far data dal 19 aprile 2022 dopo aver contratto la malattia. Tutte le ulteriori questioni rimangono assorbite.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del D.M.55/2014, tabella cause di lavoro, valore indeterminabile complessità bassa (scaglione 26.000 – 52.000) valori medi, omessa la fase istruttoria che non si è tenuta, in 7.025 euro, oltre 15% spese generali, Iva e c.p.a., nonché 259 euro per esposti. Non viene rimborsata la marca da bollo da 27 in quanto nelle cause di lavoro non è dovuta.
P.Q.M.
visto l’art. 429 c.p.c., ogni altra domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa:
- Accerta e dichiara l’illegittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione comminato al signor XXXXXXX con provvedimento del 23.11.2021, poi prorogato con provvedimento del 28.12.2021 e per l’effetto
- Condanna l’ASL TO3 e pagare al signor XXXXXXX le somme che avrebbe percepito nel periodo in cui lo stesso è risultato illegittimamente sospeso dal servizio, maggiorate degli interessi legali dalle singole scadenze al saldo effettivo
- Condanna l’ASL TO3 a rifondere al signor XXXXXX le spese di lite, liquidate in 7.025 euro, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, oltre CPA ed IVA come per legge, oltre 259 euro per contributo unificato.
Ivrea, 1 luglio 2022
Il Giudice dott.ssa Magda D’Amelio
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