Eravamo gente semplice

Mia mamma mi mandava all’asilo da solo.

Mano nella mano con il mio amico e vicino di casa, scendevamo le scale. Fuori dal portone giravamo a destra, poi all’angolo ancora a destra e dopo 20 metri entravamo all’asilo. Mia mamma ci guardava dal balcone di casa e controllava che tutto andasse bene. Il mio vicino di casa era Marco Revelli, il figlio di Benvenuto Revelli detto Nuto.

Mio padre ogni natale mi portava a vedere il “Presepe meccanico”. Una ricostruzione in uno stanzone enorme della nascita di Gesù, e della vita che si svolgeva intorno alla capanna. Statuette di legno che riproducevano i vari personaggi, e che si muovevano meccanicamente lungo percorsi prestabiliti. A un certo punto, sparivano all’interno di caverne o buchi nei prati ricostruiti minuziosamente. Poi all’improvviso, riapparivano dalla parte opposta del presepe per ripetere all’infinito il percorso. C’era l’acqua nei fiumiciattoli, nelle fontanelle e nei laghetti creati apposta. Io rimanevo ore incantato a guardare questa meraviglia. Come me decine di altri bambini.

Mio padre non era cattolico. Non lo sono neanche io.

In inverno ricordo che le città al nord venivano sommerse dalla neve. Le temperature scendevano molto al di sotto dello zero tant’è che mia mamma, che teneva le uova fuori sul balcone, una mattina dal freddo se le ritrovò praticamente esplose. La neve in superficie la raccoglievamo e ci facevamo le granite al limone. La gente girava per strada con i “cappotti” e il bavero alzato. Io avevo una grande sciarpa che mi copriva il collo e mezza faccia, e un cappello di lana calato sugli occhi. Quando scendeva la neve ricordo il silenzio che avvolgeva le città. Le macchine lungo le strade andavano a rilento, e la gente con il capo chino percorreva i marciapiedi con passo lento e attento. Mio padre era un musicista. Da lui ho imparato a conoscere ed apprezzare Duke Ellington, Woody Herman, Chet Baker e i Beatles. Ma anche Beethoven, Mozart, Smetana e Čajkovskij e decine di altri musicisti e generi musicali. Avevamo un grande giradischi in sala e lui specie la domenica, metteva su i dischi e tutti li ascoltavamo con interesse.

Noi ragazzi si giocava nei cortili. Oppure si andava tutti all’oratorio, ragazze e ragazzi che si ritrovavano senza grosse pretese. Il più delle volte si chiacchierava di quello che possono discutere ragazzini adolescenti. Altre volte i giochi prediletti erano pallone, pallavolo e tutti prima o poi, ci si fermava a giocare a “Calciobalilla”. I pomeriggi erano interminabili specie quelli d’estate. Spesso la noia aveva il sopravvento ma noi la si combatteva con un tiro al pallone contro il muro, con uno scambio di figurine con una gara con le biglie. Ci si ritrovava dopo pranzo dopo aver studiato. L’età non aveva importanza, poiché tutti si stava crescendo con le stesse identiche cose, nello stesso identico momento, nella stessa fase culturale, con le stesse speranze e gli stessi sogni.

Le diversità di classe che già c’erano anche se meno evidenti, si azzeravano davanti ad un pallone, ad un biliardino. I genitori sapevano dove eravamo o dove avremmo potuto essere. Non c’erano mezzi di comunicazione e le uniche cose che ti riportavano a casa, erano i richiami della mamma dal balcone se eri in cortile, o i rintocchi del campanile all’oratorio, che scandivano per tutti il termine della giornata e il rientro in famiglia.

Mia mamma come quasi tutte le mamme, si occupava della casa e della gestione economica della famiglia. Mio papà come quasi tutti i papà, usciva al mattino per andare al lavoro. Tornava a casa verso la mezza e si mangiava tutti in famiglia. Nel pomeriggio tornava al lavoro per poi rientrare la sera per cena. Mia mamma preparava da mangiare e ricordo che una volta alla settimana, si mangiava “prosciutto cotto con patatine fritte”. Una vera festa. Le case erano piene di colori e strane forme geometriche. Lampadari scintillanti e tende variegate alle finestre.

Di quei tempi mi ricordo le automobili. Erano tutte diverse, tutte affascinanti. Quando si fermavano ai semafori, le guardavo e studiavo in ogni minimo particolare. I ragazzi che lavoravano, dopo la patente se riuscivano a comprarsi una macchina, quasi sempre usata, la “elaboravano” artigianalmente per renderla più veloce, più strana, più personale. Io ero affascinato dal “Maggiolino Cabriolet” della Wolkswagen. Se ne vedevano pochi in giro. Avevo un amico medico che si era comperato un Porsche Targa usato. Facevamo dei lunghi giri per le colline e la velocità di quell’auto, mi trasportava in un mondo parallelo, in un’altra dimensione.

La sera in famiglia si guardava “Carosello” e dopo… noi bambini o ragazzi, tutti a dormire

Per le vacanze estive chi poteva, andava prima al mare e poi in montagna. Al mare ci si rincorreva tra i diversi bagni, “sparandosi” con le pistole ad acqua. Uno dei giochi preferiti. Poi si costruivano immense piste sulla sabbia, dove si passavano giornate intere a giocare a birille. Il premio? Niente premio, ma la possibilità di competere con una tua birilla con gli affascinanti nomi dei ciclisti dell’epoca, era il massimo a cui si aspirava. Ad una certa ora del pomeriggio, passavano sul mare vicino a riva piccoli aerei monoposto che scaricavano in acqua con dei paracaduti minuscoli, campioni di shampoo o bagno schiuma o qualche altra diavoleria promozionale. Non c’era tempo di inquinare niente, visto che prima ancora che gli oggetti toccassero l’acqua del mare, noi tutti ragazzi eravamo già pronti in acqua per raccattare questa “manna” dal cielo e portarla a riva. Molti di noi, andavano in vacanza nelle “colonie estive”. Erano sicuramente meno fortunati, ma non importava. Importava stare insieme agli altri, ritrovarsi e divertirsi anche se con poco.

C’erano poi i “ghiaccioli” alla menta o al limone. Gli stecchini di legno che rimanevano quando finivi di “ciucciare” il ghiacciolo, venivano regolarmente usati per bloccare il meccanismo dei calciobalilla, in modo da poter giocare partite infinite senza spendere una sola lira. Lo sapevano tutti, anche i gestori dei bar della spiaggia, ma si chiudeva un occhio e si lasciava fare.

Le giornate di vento che sollevavano grandi onde nel mare, erano una festa per tutti i ragazzi sulla spiaggia. Si passavano pomeriggi interi a sfidarle e farsi trascinare da loro, affrontandole di petto o di schiena con salti e tuffi improvvisati. I bagnini vegliavano attenti ma l’idea che qualcuno potesse farsi male era davvero remota. Nel pomeriggio passavano lungo il bagnasciuga i venditori di “bomboloni” o di cocco.

Della montagna ricordo le lunghe giornate a passeggiare e le discoteche. Con quelle musiche ritmate che arrivavano quasi tutte dall’America e dall’Inghilterra, le palle colorate e le lampade con la cera dentro che si muoveva in modo ipnotico. Si beveva generalmente acqua o birra o se proprio avevi quattro soldi un “Giz-Fizz”. Di sballati se ne vedevano davvero pochi ma “fuori di testa” lo eravamo quasi tutti. Non che si facesse niente di speciale, ma quella sensazione di libertà, quel senso di superiorità che c’era in quegli anni, ti davano l’illusione di essere immortale, di vivere davvero la vita che avevi davanti.

Spesso la sera ci si ritrovava tutti nella piazza del paese. Grandi e piccoli tutti insieme. Ora di prendere una decisione su cosa fare o dove andare, la “libera uscita” imposta dai genitori scadeva e sovente, si finiva a fare quattro risate su di una panchina o ci si appartava per sbaciucchiarsi sino alla stanchezza fisica.

Al rientro a scuola ad ottobre, eravamo praticamente tutti felici e impazienti di ritrovare gli amici di sempre, di lasciare gli amori estivi per rientrare in una rassicurante normalità. A scuola alle medie si studiava il latino, la chimica e il francese. Alcuni illuminati facevano lezioni extra di inglese. Quelli come me appassionati di musica, imparavano l’inglese ascoltando le canzoni dei Beatles e di Frank Sinatra. La loro pronuncia era perfetta, scolastica e ci permetteva di apprendere e ripetere quelle canzoni all’infinito e intanto, di immagazzinarne la lingua.

Per chi aveva una propensione o passione per l’Arte, le città erano piene di opportunità. Concerti, Mostre Esposizioni. Non c’erano leggi o decreti che in qualche modo cercassero di impedire l’accesso all’Arte. Di quegli anni ricordo i concerti di Santana, dei Genesis e le performance teatrali di Carmelo Bene e il teatro di strada di Julian Beck. In moto si andava senza casco e non c’era nessuna paura, nessuna ansia per un futuro che nessuno prevedeva fosco e nero.

Non avevamo internet e non c’era Youporn. Ma il sesso lo abbiamo scoperto lo stesso giocando “al dottore”. Da ragazzo ricordo la “Regola delle tre volte”. Cioè se una ragazzina usciva con te tre volte di fila, allora voleva dire che le piacevi e che potevi baciarla. Prima non se ne parlava neanche.

C’erano poi le proteste in piazza. Si protestava contro le guerre che non erano “multimediali” e dietro l’angolo, ma dall’altra parte del pianeta. Perché le guerre ci sono sempre state, e noi lo venivamo a sapere attraverso decine di canali di controinformazione che funzionavano meglio dei social di oggi. Si protestava poi contro il “potere”, perché si cominciava a capire quanto fosse pericoloso l’uso di un certo potere e di una certa sovranità, per il prosieguo della vita di tutti noi. Ci si riuniva nelle scuole, nelle università. Si formavano i “Collettivi”, si discuteva, si prendeva tutti assieme decisioni magari anche scomode. Si condividevano ideali, obiettivi e lotte di piazza. Insomma, si faceva “politica” davvero.

Gli Aphrodite’s Child cantavano: “Rain and Tears” e “It’s five o’clock”. I Led Zeppelin sfondavano I muri delle case con “Whole lotta love” e io ricordo ancora ora esattamente dove ero, cosa facevo e che tempo c’era il giorno che misi sul giradischi “Sgt. Pepper’s” dei Beatles e ne ascoltai le prime note. Abbiamo visto le immense adunate e performance di Woodstock, del Bangla Desh e del Live Aid. Ne ho scritto tempo fa di quella generazione: “La generazione che non c’è più”. https://brunomarro.blogspot.com/2021/05/la-generazione-che-non-ce-piu.html

Abbiamo visto l’uomo sulla luna, Brasile/Italia nei mondiali del 70′, legalizzato l’aborto, sdoganato la separazione ottenuto le 40 ore lavorative e mille altre migliorie che negli anni, le generazioni successive si sono fatte portare via. Abbiamo assistito alle stragi di Ustica, dell’Italicus e della stazione di Bologna. Agli omicidi di Mattarella (il fratello…) il rapimento Moro, Piazza Fontana, Piazza della Loggia. Falcone, Borsellino e migliaia di altre atrocità che abbiamo cercato di combattere e di perseguire per arrivare alla verità. Tra lo studio o il lavoro, le riunioni nei collettivi, le lotte di piazza, i raduni per protestare i concerti le serate in casa degli amici, non avevi tempo di pensare ad altro che vivere. Eravamo tutti uniti e pronti ad aiutarsi l’uno con l’altro. Chi aveva più disponibilità, riuniva a casa propria chi era meno fortunato e li, si mangiava e si facevano lunghe e interminabili feste. Si chiacchierava, si discuteva, ci si innamorava si cantava e si sorrideva. Tutti insieme, tutti a vivere lo stesso tempo.

Quella generazione è stata anche la mia generazione. La nostra generazione perché ha attraversato un periodo così lungo, dove tutti vedevano sentivano e crescevano sulle stesse cose. Un tempo che non si è mai più ripetuto. Alcuni di noi erano già furbetti. La maggioranza ingenui e sognatori.

Non ho particolari nostalgie, non ho rimpianti e non ho sentimenti paternalstici. Non so se eravamo meglio o peggio, se si stava bene o si stava male, ma di certo eravamo gente semplice

Bruno Marro

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