Nell’aprile del 1968, l’imprenditore italiano Aurelio Peccei e lo scienziato scozzese Alexander King – che a quei tempi era direttore generale per gli Affari Scientifici presso l’OECD a Parigi – fondarono il Club di Roma, una ONG non-profit, costituita da scienziati, economisti ed altre personalità del mondo accademico e istituzionale. Entrambe erano accomunati dalle medesime riflessioni sul futuro del pianeta e sull’urgente necessità di far fronte alla difficile situazione dell’umanità (predicament of mankind). Fu così che nel 1972, il MIT, su richiesta del Club di Roma, pubblicò lo studio The Limits to Growth(I limiti dello sviluppo), conosciuto anche come Rapporto Meadows, dal nome di una dei componenti del team di studio del MIT, Donella Meadows, che riappare anche in successive pubblicazioni. La tesi di fondo può riassumersi in poche righe: la crescita esponenziale della popolazione e lo sfruttamento delle risorse associato porteranno presto ad una caduta dello sviluppo entro i prossimi cento anni. Di qui la necessità di moderare i tassi di sviluppo demografici e industriali, al fine di garantire un equilibrio globale che possa soddisfare equamente il potenziale umano di ognuno. Detto così, sembrerebbe la cosa più logica e giusta del mondo, ma non è chiaro chi dovrebbe limitare i propri consumi e cambiare i propri stili di vita, né tantomeno quali siano le vere cause dello sfruttamento irrazionale delle risorse. Che dire del consumismo sfrenato indotto dalle grandi multinazionali, che non hanno mai internalizzato le esternalità negative legate alla produzione, come l’inquinamento?
Nel 1973, sempre gli studiosi del MIT, pubblicano il volume Toward Global Equilibrium, tradotto in Italia dalle Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, con il titolo I limiti dello sviluppo. Verso un equilibrio globale. Il libro riporta le possibili soluzioni per arrivare ad un nuovo equilibrio globale sostenibile e, poiché la causa di tutti i mali è la crescita demografica esponenziale, sarà proprio questa la variabile principale oggetto delle nuove politiche che dovranno attuarsi da subito (siamo nel 1973!) e in futuro, aggiornando costantemente i parametri dei modelli di previsione impiegati. Di qui, nascono le idee della “decrescita felice”, che oggi sembrano aver contaminato anche i documenti papali, come nel caso dell’enciclica Laudato sii, dove al par. 193 si legge:
Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti.
Cambiare stile di vita, abbandonare il consumismo sfrenato imposto dai potentati economici, non vuol dire necessariamente ridurre la produzione, cioè, il reddito. Una decrescita vuol dire minore occupazione, che si traduce in una lesione dei diritti universali dell’Uomo al lavoro. È necessario, invece, ripensare la produzione capitalistica, rinunciando ai margini di profitto o sovraprofitto, cioè, alle rendite. Il concetto di decrescita, diversamente, si apre alla riduzione della forza lavoro sia in chiave occupazionale che demografica. Ma come è possibile che tali idee siano entrate in un’enciclica, che gli alfieri del capitalismo inclusivo e del grande reset stringano patti con il Vaticano, coinvolgendo il vescovo di Roma nelle loro logiche capitalistiche? Una risposta la possiamo trovare nel cap. XIII del libro del 1973, Le chiese di fronte alla transizione dallo sviluppo all’equilibrio mondiale, a cura diJay W. Forrester. Qui l’autore affronta il tema delle alternative etiche compatibili con il nuovo modello di sviluppo e la necessità che le chiese cristiane adeguino i propri principi allo sviluppo sostenibile proposto dal Club di Roma, data l’importanza che i codici religiosi hanno nelle società.
La civiltà umana si trova in una fase di transizione tra lo sviluppo esponenziale del passato e una qualche futura forma di equilibrio, la cui natura peraltro dipenderà dalle azioni intraprese nell’epoca presente. Queste azioni sono determinate dalla mutua influenza tra le forze sociali e il sistema di valori che condiziona le nostre reazioni alle pressioni insorgenti in tutto il mondo. Se le chiese dovranno esercitare un’influenza, sarà attraverso questo sistema di valori che opereranno. (p. 411)
La religione cristiana si è sviluppata nel contesto di una particolare dinamica del nostro sistema sociale: sulla superficie della terra la popolazione era scarsa, l’espansione geografica era ancora possibile, l’umanità era debole in confronto alle forze della natura e l’esplosione della scienza era ancora di là da venire. In tali condizioni, i valori del cristianesimo si accordavano efficacemente con la sopravvivenza e l’espansione sociale. In effetti, la religione cristiana è portatrice di un sistema di valori che esalta lo sviluppo: essa impegna l’uomo a dar prova di zelo missionario, e gli dà il diritto di signoreggiare sulla natura. I valori del cristianesimo vennero interpretati nel senso per cui diventava un dovere diffondere sulla faccia della terra il popolo eletto da Dio e la sua religione. I seguaci di questa religione sono stati portati a sentirsi responsabili del benessere degli altri uomini: il che si traduce nell’obbligo di proteggere gli altri da se stessi, dalle restrizioni di altre religioni maggiormente orientate verso l’equilibrio, dalle vicissitudini del rapporto uomo-natura. In breve, il cristianesimo è una religione di sviluppo esponenziale. Lo sviluppo esponenziale non può continuare indefinitamente: inevitabilmente si genereranno fortissime pressioni interne tendenti a bloccare la crescita. (p. 422)
Innanzi a tali scenari, per l’autore, o le chiese evolvono, adeguando i loro principi di lungo periodo alle presenti necessità del nuovo equilibrio globale e reinterpretando i principi biblici attraverso un simbolismo figurativo, o sono votate a sparire nell’inutilità.
È possibile riscontrare nel cristianesimo un adeguato grado di reattività che consenta di interpretarne e modificarne i principi? Si può trovare la maniera adatta a riformulare ed estendere i principi religiosi in risposta alle pressioni che insorgono quando tali principi manifestano la propria inadeguatezza? Esiste qualche procedimento in grado di anticipare i cambiamenti sociali in modo tale che la modificazione possa essere avviata prima che la divergenza tra vecchi valori e nuova realtà si sia approfondita al punto che la società respinge i principi stessi? A differenza della costituzione americana, la Bibbia non contiene alcun processo che preveda esplicitamente la revisione e l’aggiornamento, e non vi è la possibilità di introdurvi nuove vedute corrispondenti alle nuove modalità di comportamento emergenti nei nostri sistemi sociali. Senza questo processo di revisione, la discrepanza tra le vecchie dottrine e le condizioni moderne è stata evitata mediante una reinterpretazione degli antichi principi. Così, la società passa dall’adesione letterale delle parole al simbolismo figurativo, che è più flessibile e suscettibile di più ampie interpretazioni. Gli antichi valori vengono in parte respinti, ma in parte vengono reinterpretati e portati ad adeguarsi alle necessità del momento. Così, senza un adeguato sistema di valori durevoli, la società incomincia a vacillare. (p. 423)
Nell’insegnamento delle chiese spesso è implicito che il giusto va inteso in senso assoluto, senza concessioni al compromesso, indipendentemente dal futuro al quale si volge lo sguardo. Questo è un errore, giacché generalmente una linea d’azione che presenti prospettive favorevoli per una breve scadenza comporta conseguenze negative a lunga scadenza, e viceversa. Un’azione che sembra giusta al presente può dimostrarsi sbagliata ove se ne considerino anche le estreme conseguenze. Così le chiese, avendo fatta propria una concezione semplicistica del giusto e dell’etica, contribuiscono anch’esse al conflitto di obiettivi tra presente e futuro. Le chiese del mondo dovrebbero per prime rimettere in discussione il concetto di giusto e ingiusto in una dimensione temporale … Se le chiese devono veramente essere custodi di valori non effimeri, occorre che esse definiscano di nuovo ciò che è giusto in funzione di un durevole benessere futuro dell’umanità. (p. 429)
Alla luce di quanto riportato, non sorprende più di tanto se oggi qualcuno nella Chiesa cattolica propini dottrine “poco” cattoliche, affermando, ad esempio, che «Dio si contamina», «Gesù è un uomo», «Dio non può essere Dio senza l’uomo», «Essere cattolici non significa fare figli come conigli», «I dieci comandamenti non sono assoluti», «La proprietà privata non è intoccabile», etc. e proponga sotto voce una decrescita felice all’insegna di un capitalismo inclusivo ecologista e transumano, e di una vaccinazione di massa che offende il libero arbitrio e la dignità delle persone («Vacunarse es un acto de amor» e il rifiuto del vaccino un «negazionismo suicida»), strizzando l’occhio a noti esponenti politici e scienziati palesemente a favore dell’aborto, come anche a quelle multinazionali del farmaco che hanno fatto della contraccezione e della pillola del giorno dopo il loro core business. Il cristianesimo non è una religione costituita da valori necessari divinizzati ma dall’incontro con il Logos divino, che viene a soddisfare le nostre intime esigenze e a divinizzare la nostra umanità. Ogni haerĕsis (alternativa) è apostasia (separazione, allontanamento) dai principi eterni.
Ritornano alla mente le rivelazioni ricevute da una mistica italiana, Maria Valtorta che, nei Quaderni del 1943, sotto dettatura divina scriveva:
Allora conoscerete il pastore che non si cura delle pecore abbandonate, il pastore idolo di cui parla Zaccaria. Ricorda l’Apocalisse di Giovanni. Ricorda il dragone: il Male generatore dell’Anticristo futuro, il quale ne prepara il regno non solo sconvolgendo le coscienze ma travolgendo nelle sue spire la terza parte delle stelle e facendo degli astri fango. Quando questa demoniaca vendemmia avverrà nella Corte di Cristofra i grandi della sua Chiesa, allora, nella luce resa appena bagliore e conservata come unica lampada nei cuori dei fedeli al Cristo … allora verrà il pastore idolo, il quale sarà e starà dove vorranno i suoi padroni. Chi ha orecchie da intendere intenda. Per i vivi di quel tempo sarà un bene la morte.