Ultimamente ho il piacere di dedicarmi alla lettura di alcuni classici dell’economia. Libri tra il vecchio e l’antico, di cui alcuni ancora intonsi, soprattutto quelli che riguardano gli economisti meno conosciuti. Tra questi me ne è capitato uno di P. J. D. Wiles, Economia Politica del Comunismo, edito dalla UTET nel 1969, tradotto da Catello Cosenza. Scorrendo l’indice, la mia attenzione è caduta sul titolo del cap. VII: Il decentramento e il riaccentramento nell’economia classica di comando. Apro a pag. 155 e leggo questa citazione, ripresa dal quotidiano russo Izvestija:
Una volta mentre stavo viaggiando sulla strada che corre tra Kharkov e Rostov mi fermai ad un distributore di benzina per fare rifornimento di carburante. Molte automobili stavano aspettando davanti a me. Sembrava che il distributore non vendesse. Sulla porta dell’ufficio c’era la scritta «OGGI NON SI VENDE BENZINA». Fui sorpreso da questo avviso. Non si vende? Cosa dovevano fare le automobili sulla strada – aspettare fino a domani? Entrai come se tutto fosse normale e chiesi che mi facessero il pieno.
«Non sa leggere?» Un uomo con piccoli baffi ispidi mi guardò con sorpresa: «È scritto nero su bianco, “Non si vende oggi”».
«Non avete benzina allora? ».
«Ce n’è quanta se ne vuole, Baku funziona a dovere, sono felice di dirlo».
«E allora perché non mi fa il pieno? ».
«Per oggi abbiamo eseguito il nostro piano».
Per dire la verità, ero disgustato. «Ma come potete mai», esclamai, «fissare una quota giornaliera di benzina da vendere se non potete pianificare il numero dei veicoli che passano? »
«Cosa intende?» insorse minacciosamente dal suo tavolo il mio interlocutore: «È forse contrario alla pianificazione statale? … ».
Izvestia, 6 gennaio 1957.
L’EMERGENZA DEL LEVIATANO NAZISOVIETICO
Subito mi viene in mente quello che sta succedendo nel cosiddetto Occidente democratico, quello del libero mercato che mai avrebbe pensato al razionamento energetico. Il triste volto sovietico dell’Unione Europea alla fine si è manifestato, anche se già qualche anno fa, alcuni giornalisti e dissidenti, ci mettevano in guardia dell’EURSS e dalle sue radici sovietiche. Forse perché avendo vissuto per decenni sotto il comunismo hanno sviluppato un olfatto molto più fine del nostro nel percepire il putrido odore della tirannide, che in molti non sentono o non vogliono sentire.
Si destano in me una profonda perplessità e una sottile preoccupazione quando leggo o ascolto slogan inneggianti ai padri del comunismo, soprattutto quando tali encomi vengono innalzati da (sedicenti) filosofi, che, in risposta al regime tecnocratico imperante, danno editorialmente il bentornato a Marx (l’architetto del comunismo) o a Gramsci (promotore del controllo dei mezzi di informazione), rivendicando le proprie radici hegeliane, le stesse che hanno generato i totalitarismi del Novecento!
Era il 2004, quando, in tempi meno sospetti, Vladimir Bukovsky, giornalista dissidente, scriveva:
Per chiunque abbia familiarità, anche lontana, con il sistema sovietico, la sua somiglianza con le strutture dell’Unione Europea in via di sviluppo, con la sua filosofia di governo e di “deficit democratico”, la sua endemica corruzione e inettitudine burocratica, è impressionante. Per chi abbia vissuto sotto la tirannia sovietica o i suoi equivalenti nel mondo, è spaventoso. Ancora una volta osserviamo con crescente orrore l’emergenza del Leviatano, che speravamo fosse morto e sepolto, un mostro che ha distrutto un mucchio di nazioni, ha impoverito milioni e devastato parecchie generazioni prima del suo collasso finale. È inevitabile? La razza umana è decisa all’autodistruzione e condannata a ripetere lo stesso errore di volta in volta fino a morire nella miseria? Oppure l’UE è davvero il clone dell’URSS imposto alle nazioni riluttanti dell’Europa dalle stesse forze politiche che crearono la prima? [1]
Nel 2017, la Dr. Rath Health Foundation pubblicava un libro dal titolo, anche questo, molto evocativo: The Nazi Roots of the Brussels EU (“Le radici naziste dell’Europa di Bruxelles”).[2] Secondo gli autori, il processo di totalitarizzazione delle Nazioni europee emerge fin dalla costituzione della Comunità Economica Europea (CEE), antesignana dell’attuale Unione europea. Non è un caso che uno dei firmatari del Trattato di Roma del 1957, nonché primo Presidente della Commissione europea dal 1958 al 1967, fu proprio Walter Peter Hallstein, politico e giurista tedesco, socio del movimento nazista dei “Protettori della Legge”, che pose le basi giuridiche dell’architettura europea di Bruxelles. Non è nemmeno un caso che Lenin e Hitler frequentassero le medesime società teosofiche e ricevessero fondi dalle medesime casse, e che l’idealismo – che in un certo senso legittimò il nazionalsocialismo – e il materialismo storico marxiano – che tanto ispirò Lenin – siano le due facce della medesima filosofia hegeliana. Hegel, riguardo alla sua filosofia, disse che questa non era altro che il compimento della filosofia di Cartesio, un assiduo cercatore dei circoli rosacruciani.[3]
TOTALITARISMO TECNOCRATICO, UNA PRIGIONE PER LA MENTE
L’EURSS (conosciuta anche come UERSS) è qualcosa di antico ma allo stesso tempo presenta delle novità impensabili nella fucina di Lenin e di Stalin. L’attuale tecnologia pervasiva e onnipresente permette un controllo capillare, che può arrivare persino a scandagliare e influenzare i pensieri degli uomini e delle donne che una volta si dicevano liberi e che oggi vivono in una prigione senza sbarre, al caldo e con ogni confort di base, perché i signori della guerra han capito che una dittatura prima o poi finisce, mentre il totalitarismo presenta una sfumatura di colori per ogni stagione della vita sociale, senza la necessità di combattere i rivoltosi e distruggere il pianeta.
Perché usare una testata nucleare, far piovere bombe sui siti archeologici o trivellare di colpi i palazzi, quando ci si può liberare degli «inutili mangiatori» “grafenizzati” con un semplice fascio di onde millimetriche ad una frequenza di 26 GHz? Si risparmia sui trasporti (pensate a quanta energia sprecata per le deportazioni in Siberia o ad Auschwitz!) e si riduce il riscaldamento globale. Ma è per il bene dell’umanità, perché «la razza umana si avvia ad essere di troppo per se stessa e per il mondo» (W. Saroyan) e oggi «il mondo ha un cancro e questo cancro è l’uomo» (A. Gregg)!
E poi, pensate, se dovessimo ricostruire tutto, come nel dopoguerra, aumenterebbe la domanda di lavoro e con questa i salari, con effetti deleteri sui profitti! Distruggendo, invece, intere popolazioni ma lasciando indenne e abbandonato il loro patrimonio immobiliare e mobiliare, soprattutto dopo una decennale e accurata politica deflazionistica, i profitti non possono che crescere.
Il depopolamento, accompagnato da una fiscalità rapace e da un potente apparato tecnocratico, conduce alla fine delle libertà e dei diritti fondamentali, come quello della proprietà privata, che viene così espropriata e svenduta ai signori del mondo mediante la politica economica e sanitaria degli «inutili idioti d’Occidente» nominati ma non votati, degni figli dei loro padri, di quelli, cioè, che tramarono contro la patria su istigazione della nuova aristocrazia sovietica leninista.
Cambiano gli attori, ma la tragedia è sempre la stessa, magari con scenari più sofisticati e con parole più dolci, che meglio sanno condurre dove nessun uomo sano di mente vorrebbe andare. Meglio dire campi di «contenimento covid» che «campi di concentramento»; più utili ed efficaci le siringhe e il “vaccino” che i mitra e le pallottole, soprattutto quando la gente, posseduta da un’inedita paura irrazionale, porge “liberamente” il braccio, dopo aver perso ogni riferimento metafisico; meglio un «lockdown» per combattere il “virus” e la “pandemia” che gli «arresti domiciliari» per contenere l’inflazione globale innescata dalle banche centrali.
In sintesi:
DEPOPOLAMENTO + FISCALITÀ AGGRESSIVA + INTERNET OF EMOTIONS
= COMUNISMO TECNOCRATICO SANITARIO
=> FINE DELLE LIBERTÀ E DELLA PROPRIETÀ PRIVATA
Gli errori della Russia comunista e le follie della Germania nazista si sono diffusi nel mondo, ristagnando in particolar modo in Europa, e noi oggi ci ritroviamo con un mostro che i nostri padri non si sono degnati di combattere e sradicare quando era il momento. E così si avvera il triste adagio: le colpe dei padri ricadono sui figli.
[1] Bukovsky, V., Stroilov, P., EUSSR. Soviet roots of European Integration, Sovereignty Publications, Worcester Park, Surrey, 2004.
[2] Taylor, P. A., et al, The Nazi Roots of the Brussels EU, Dr. Rath Health Foundation, Heerlen, 2017.
[3] Yates, F. A, The Rosicrucian Enlightenment, Routledge, London/New York, 2002, p. 154.