GENERALE MORI ASSOLTO DALL’INFAMIA DI STATO. Eroi antiMafia Isolati, Infangati o Uccisi dal Deep State: l’antica Triade 007, Massoneria e Cosa Nostra

Nell’immagine di copertina gli storici combattenti contro la mafia: il generale Mario Mori e il capitano Ultimo, che arrestarono Totò Riina, e i loro punti di riferimento investigativo nell’Informativa Caronte del Ros dei Carabinieri: i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entrambi uccisi insieme agli uomini delle loro scorte in due complessi attentati dinamitardi realizzati da Cosa Nostra con la complicità del Deep State che nel caso delle indagini sulla strage di Via D’Amelio ordì il più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana. 

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Fonte originale: Le Grandi Inchieste di Gospa News

«Il mio pensiero va alle famiglie del generale Antonio Subranni, del generale Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno, a cui esprimo la mia grande vicinanza e con cui condivido il massimo disprezzo per quelli che hanno cercato di infangare l’onore di grandi combattenti della mafia. Io e i Carabinieri combattenti li onoriamo ora come allora e li portiamo nel cuore».

Con queste parole il colonnello dell’Arma Benemerita in congedo, Sergio Di Caprio, reso famoso dalle cronache e dalla tv con il soprannome di “Capitano Ultimo” quando arrestò il sanguinario latitante di Cosa Nostra Totò Riina, ha commentato l’assoluzione di Mori, ex comandante del Ros dei Carabinieri e poi direttore del Sisde, e degli altri ufficiali.

 Il capitano Ultimo, ovvero Sergio De Caprio oggi colonnello in congedo, e il superboss Totò Riina deceduto nel 2017 dove essere rimasto in carcere dopo l’arresto del 1993

«Il fatto non costituisce reato». Per questo sono stati assolti il 23 settembre scorso dalla Corte d’Appello di Palermo dall’infamante accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato in riferimento alla presunta Trattativa Stato-Mafia dopo la condanna subita in primo grado il 20 aprile 2018. La sentenza è stata emessa dopo tre giorni di Camera di consiglio. Mori, Subranni e De Donno erano stati condannati a 12 anni come il senatore Marcello Dell’Utri (assolto con differente motivazione perché “il fatto non sussiste”).

Come anche un cronista in braghette avrebbe compreso fin dall’inizio, l’attività degli investigatori della Benemerita si era quindi limitata alla gestione dei contatti con gli informatori e non esercitarono pressione su politici e ministri perché cedessero alle richieste mafiose. E’ questo il senso del nuovo pronunciamento giudiziario, in attesa delle motivazioni.

La tesi dell’esistenza della trattativa riguardava le stragi del 27 maggio 1993 in via dei Georgofili a Firenze (5 morti e quasi 50 feriti) e della notte tra 27 e 28 luglio in via Palestro a Milano (5 morti e 12 feriti) nonché con le bombe, sempre la stessa notte, a Roma alle chiese di san Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro (oltre 20 feriti in totale).

La conclusione dei giudici è che gli imputati ebbero contatti e colloqui con il sindaco di Palermo Vito Ciancimino, referente della mafia, ma solo per ottenere informazioni e portare avanti le loro indagini. E che quindi non fecero pressioni, come precedentemente ipotizzato dalla pubblica accusa, su Nicola Mancino (allora ministro dell’Interno), su Claudio Martelli (ministro di Grazia e Giustizia) e su Luciano Violante (presidente della commissione parlamentare antimafia), perché cedessero alla violenza.

L’inchiesta dei pm, convinti che i Carabinieri siano andati ben oltre i loro doveri, si arenò nel 2004 per mancanza di prove ma tornò in auge nel 2008 grazie al famoso papello di Riina, ovvero una serie di richieste avanzate da Cosa Nostra per far cessare gli attentati: tra cui revisione della sentenza del maxi-processo; annullamento del 41-bis dell’ordinamento penitenziario (il cosiddetto carcere duro); revisione della legge Rognoni-La Torre (reato di associazione mafiosa) ed altro.

 Il generale Mario Mori poi direttore del Sisde, colonnello dei Ros nel 1991 aquando elaborò l’informativa Caronte

Massimo Ciancimino, figlio del potente politico che fece fortuna grazie appalti miliardari a Palermo, disse ai pm palermitani di essere in possesso del famoso papello, che consegnò poi ai giudici. Ma proprio sull’autenticità di tale “biglietto” e sull’attendibilità del testimone si sono radicati i dubbi più grandi.

Nella relazione introduttiva nel processo d’Appello, nel giugno 2019, il presidente della Corte d’Appello Angelo Pellino, scrisse: «A far dubitare della autenticità del documento definito “papello”, consegnato da Massimo Ciancimino, sono le sicure modifiche apportate dallo stesso Ciancimino assieme alla persistente incertezza sul vero autore del documento. In definitiva le prove sull’autenticità finiscono per passare dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, caratterizzate da oscillazioni e incertezze. Anche lo stesso Salvatore Riina esclude di avere scritto alcunché».

Proprio per questo dall’Appello l’unica conferma è giunta per i 12 anni di condanna comminati in primo grado ad Antonino Cinà, il medico fedelissimo di Totò Riina che secondo l’accusa fu il messaggero fra la politica e Cosa nostra (consegnò il papello di Riina) nella prima parte della presunta trattativa nel 1992 e 1993. In quanto. si può desumere in assenza delle motivazioni, avrebbe cercato di gettare l’esca sulla Trattativa Stato-Mafia a cui i Carabinieri però non avrebbero abboccato.

Analoga la posizione dell’ex senatore di Forza Italia assolto. Bagarella tentò di far arrivare le minacce a Silvio Berlusconi ma Dell’Utri non veicolò quella minaccia.

LA MACCHINA DEL FANGO DOPO L’INFORMATIVA CARONTE

Capitano Ultimo, ideatore dell’unità Crimor che all’interno del Ros di Palermo portò avanti l’operazione Belva per catturare il boss di Corleone ricercato anche quale mandante degli attentati ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell’estate del 1992, ha espresso «grande gioia» a Il Giornale nell’apprendere la notizia dell’assoluzione dei colleghi della Benemerita.

Un giubilo ben comprensibile visto che questo processo non era altro che lo strascico delle vicende giudiziarie innescate dall’altra pesantissima accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, subito dopo il suo arresto del 15 gennaio 1993. Quell’accusa si rivelò infondata il 20 febbraio 2016, dopo lunghi anni di calvario giudiziario,  quando il Tribunale di Palermo, presieduto da Raimondo Lo Forti, assolse il generale Mori, e il colonnello De Caprio.

Nel frattempo però la macchina del fango si era messa in azione contro quegli stessi ufficiali dei Carabinieri che avevano avuto l’ardire di indirizzare le indagini ai “piani alti” del Deep State, ovvero sull’intreccio tra Mafia, Massoneria, Politica e Appalti pubblici emerso dalla segretissima Informativa Caronte che persino secondo l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso potrebbe essere all’origine degli attentati dinamitardi ai giudici Falcone e Borsellino, come abbiamo già evidenziato in una precedente inchiesta.

Questi riferimenti confermano quanto sostenuto dal pentito Tommaso Buscetta nelle sue ampie rivelazioni al giudice Falcone su Cosa Nostra quando fu invitato a parlare del “terzo livello” e rispose che non c’erano le condizioni politiche idonee per parlarne.

In merito vanno rammentati due fatti storici. Il magistrato Rocco Chinnici, prima vittima togata di un attentato esplosivo a Palermo, per primo evidenziò che la Mafia, come associazione e con tale denominazione «prima dell’unificazione d’Italia non era mai esistita in Sicilia». Abbiamo visto in una precedente inchiesta storica che furono infatti i Mille di Giuseppe Garibaldi finanziati dalla Massoneria britannica a stringere alleanza coi primi picciotti di famiglie malavitose.

In un altro reportage abbiamo invece visto come Cosa Nostra, drasticamente ridotta dalle operazioni di polizia del prefetto Cesare Mori inviato dal Duce, riconquistò potere grazie all’accordo strategico siglato tra Lucky Luciano e Vito Genovese con i servizi segreti americani (gli 007 dell’OSS, oggi CIA) per favorire lo Sbarco degli Alleati in Sicilia nel 1943. Da allora l’isola Trinacria finì di fatto nella morsa della potentissima occulta triade tra Intelligence, Massoneria e Mafia dalla quale non risulta essersi mai liberata. Senza queste premesse storiche è pressochè impossibile comprendere quanto accaduto dal 3 settembre 1982, giorno dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, in poi.

In tale contesto non bisogna inoltre dimenticare che il papello di Ciancimino sulla “trattativa Stato-Mafia” apparve misteriosamente in un anno cruciale della politica italiana… (continua a leggere)

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