LA MOSSA DEL DRAGO

Di Armando Savini

«Scongelare il risparmio con leva fiscale e nuovi strumenti finanziari». È questo uno dei titoli che mi ha colpito, guardando la prima pagina de Il Sole 24 Ore del 22 ottobre 2021. «Scongelare» è il verbo usato dal presidente dell’Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio) Francesco Profumo, all’apertura della 97a giornata del Risparmio. Seguono, poi, le frasi clou dei Protagonisti: “Visco: salgono i prestiti a rischio”, “Franco: recuperare più avanzi primari”, “Patuelli: fisco più leggero sui rendimenti”. Ma andiamo per ordine.

Già da qualche settimana, si sono alzate voci contro le criptovalute. L’UE ha sottolineato più volte la necessità di regolamentare le criptomonete. Dombrovskis ha affermato che l’obiettivo non è quello di vietare (non siamo mica in Cina!) bensì quello di “regolamentare”, che tradotto significa porre “lacci e lacciuoli” al libero mercato delle monete digitali. Nel suo intervento, Visco ha ribadito i rischi delle criptovalute «che per loro natura hanno un valore instabile e possono anche favorire operazioni illecite». Poi, per puro caso (sempre che il caso esista), sulla piattaforma Binance, a causa di un bug nell’algoritmo di trading di un trader istituzionale, il Bitcoin perde l’87% scendendo a quota $8.200 per ritornare a $63.170!

Davanti ai 200 miliardi in più di attività finanziarie detenute dalle famiglie rispetto al 2019, il Governatore della Banca d’Italia ha detto inoltre che «occorre ampliare l’offerta di strumenti finanziari attraverso l’emissione di più obbligazioni e strumenti liquidi delle nostre aziende». I risparmi degli italiani, che ammontano a circa 1800 miliardi di euro, non possono (e non devono) restare sui conti correnti ma neanche essere investiti nel mattone, visto che ci attende la rivalutazione della rendita catastale secondo i valori di mercato e quindi un aumento delle imposte sulla casa a partire dal 2026. Devono essere scongelati con la leva fiscale – magari abbassando l’imposizione fiscale sui rendimenti e forse applicando anche un’imposta sui conti correnti – e investiti in strumenti finanziari molto più rischiosi del mattone. Allo stesso tempo, Visco esorta le banche a «continuare a valutare attentamente le prospettive delle imprese affidate e ad effettuare accantonamenti prudenti e tempestivi», perché le imprese devono ricorrere al mercato dei capitali per rafforzare il loro patrimonio, mercato che deve essere foraggiato dai risparmi delle famiglie italiane, che anche secondo il Presidente Mattarella sono «una preziosa risorsa» da «mobilitare rapidamente». C’è da considerare, però, che le politiche deflazionistiche prima e i lockdown dopo hanno fortemente ridotto la domanda aggregata, innescando altresì un ridimensionamento della capacità produttiva che, ora, a fronte della ripresa dei consumi, non riesce a soddisfare la richiesta di beni e servizi, generando quell’inflazione di cui nessuno parla. Le imprese italiane hanno visto ridurre il proprio patrimonio durante e dopo la pandemia, soprattutto, a seguito delle folli politiche anticovid del Governo, seguite dal crollo della Borsa di Milano (-16,8%) nel marzo dello scorso anno ad opera della BCE. Ma le istituzioni sembrano lavarsene le mani e lasciar fare tutto ai mercati, che ancora una volta mostreranno il loro volto spietato. Infatti – e qui si sta per chiudere la tonnara – è necessario «recuperare più avanzi primari» al fine di compensare un rialzo dei tassi d’interesse dovuto all’inflazione attesa (allora c’è l’inflazione!) e alla fine della politica monetaria accomodante (cioè, riduzione dei piani d’acquisto dei titoli da parte della BCE). È per questo che il Ministro Franco comincia ad accantonare 70 miliardi da destinare agli investimenti dopo il 2026, cui, molto probabilmente, si aggiungeranno gli introiti derivanti dall’imposta sugli immobili. Ma che effetti avranno queste politiche sulla nostra economia? Stiamo davvero crescendo come dicono? Se sì, perché Visco esorta le banche a continuare a tenere strette le maniche del credito? Perché questa fretta di scongelare e mobilitare rapidamente i risparmi degli italiani, sebbene manchino gli strumenti finanziari per cui le nostre imprese dovrebbero accrescere il loro patrimonio? E se l’economia non stesse crescendo, che ne sarebbe dei risparmi degli italiani? Chi acquisterebbe mai, infatti, obbligazioni emesse da aziende che operano in un’economia che non cresce?  

Innanzitutto c’è da dire che i tanto decantati 200 miliardi di risparmio non sono il frutto della crescita economica ma l’esatto contrario. Essi sono il mancato consumo delle famiglie pari al mancato introito delle imprese, che dopo il trattamento di favore del Governo hanno chiuso i battenti, aumentando la disoccupazione e riducendo ulteriormente i consumi. Secondo l’ISTAT, la propensione al risparmio, che indica quanto si risparmia in base al PIL, è raddoppiato, passando dall’8% del 2019 al 15,6% del 2020, mentre sono scesi i consumi del 7,8% e gli investimenti fissi lordi del 9,2%. Un aumento della propensione al risparmio comporta una decrescita dell’economia, in quanto si preferisce accantonare moneta per i tempi incerti anziché spenderla. Questo comporta una riduzione del valore del moltiplicatore e, quindi, una contrazione del PIL (paradosso della parsimonia). 

Paradosso della parsimonia. Un innalzamento della propensione al risparmio fa aumentare l’inclinazione della retta del risparmio da S a S’, spostando il punto d’intersezione con la retta degli investimenti I dal punto a al punto b, cui corrisponde il livello di Reddito Y’ inferiore a Y. Se a questo si aggiunge una riduzione degli investimenti da I a I’ (per esempio, dovuta ad un aggravio delle imposte o a un lockdown), il nuovo punto di equilibrio sarà nel punto c, con un livello di reddito ancora più basso (Y’’).

Diversamente, quando cresce il PIL, cresce anche il risparmio, in quanto dopo un certo livello il reddito aumenta in maniera più che proporzionale rispetto ai consumi, facendo crescere anche gli investimenti. La crescita del risparmio post-covid non è un indice di crescita economica ma il presupposto di una crisi economica, che sarà ulteriormente aggravata dal ritorno all’austerità, mediante il recupero degli avanzi primari che rastrellano ricchezza dal settore non governativo (famiglie e imprese) al settore governativo, ricchezza che viene ridistribuita sotto forma di dividendi alle grandi banche d’affari che detengono i titoli del nostro debito pubblico. Il valore di mercato di questi titoli decresce al crescere dei tassi di interesse. Ecco perché non ci permettono di indebitarci più di tanto: se il valore di mercato dei titoli del debito scendesse, le banche che li detengono potrebbero non riuscire più a bilanciare le perdite derivate dai titoli tossici presenti nel loro portafoglio, con il rischio di fallire. Insomma, in Italia gli investimenti calano e il risparmio aumenta, mentre le autorità di politica fiscale e monetaria disincentivano gli investimenti immobiliari, cercano di regolamentare le criptovalute, razionano il credito scoraggiando gli investimenti da parte delle imprese, rastrellano moneta dalle famiglie sotto forma di imposte (crescita avanzo primario) e dirottando i loro risparmi sui mercati dei capitali in balia delle grandi banche d’affari internazionali, che hanno già fiutato il profumo dei soldi italici. Stanno spremendo le nostre arance e gli altri ne bevono il succo. Un’ultima considerazione riguarda la tempistica di queste operazioni, che vengono attuate dopo una schiacciante e alacre campagna vaccinale, di cui ancora non si conoscono gli esiti di medio e lungo termine sulla salute. Se «nel lungo periodo saremo tutti morti» – come soleva ripetere Keynes – allora al danno seguirebbe anche la beffa. Dopo gli asset pubblici evaporerebbero anche quelli privati.