PROCESSI DI CRESCITA

Dopo il primo rapporto al Club di Roma “I limiti della crescita”, condotto da Donella Meadows et al, nel 1974 seguì un secondo rapporto a firma degli ingegneri Mihajlo Mesarovic e Eduard Pestel, finanziato dal gruppo Volkswagen: L’umanità a una svolta. Strategie per sopravvivere. I due autori (uno jugoslavo, docente a Belgrado, l’altro tedesco di Hildesheim, al confine con l’ex DDR) svilupparono quello che allora fu celebrato come un «modello basato sulla simulazione matematica con elaboratori elettronici, diverso da qualsiasi altro tentato in precedenza».

Il riferimento era al primo rapporto Meadows, che, secondo i due autori, esaminava la crescita come un blocco monolitico, non tenendo conto come il sistema mondo fosse in realtà un sistema complesso e diversificato. Il processo di crescita considerato dal MIT era, dunque, un processo di crescita indifferenziata, meramente quantitativa, come nel caso della divisione cellulare (in cui la cellula si divide in due, in quattro, in otto, sedici, trentadue, etc), mentre quello esaminato nel secondo rapporto era un processo di crescita organica, cioè, di tipo qualitativo, come nel caso dei diversi tipi di cellule che cominciano a differenziarsi per struttura e funzione, seguendo il processo evolutivo dell’organismo. Ciò significa che «durante e dopo il differenziamento il numero delle cellule può ancora accrescersi e gli organi aumentare di grandezza; ma mentre certi organi crescono, altri possono ridursi». Allo stesso modo, dovrebbe funzionare il sistema mondo.

L’analogia tra la crescita organica di un organismo e quella del sistema mondo è, ovviamente, solo un’analogia. Tuttavia, l’analogia mostra vividamente l’immensità del cambiamento in grandezza e in natura che è necessario all’umanità per iniziare un nuovo corso di sviluppo mondiale globale… In passato la comunità mondiale era solo un insieme di parti fondamentalmente indipendenti. In tali condizioni ciascuna delle parti poteva crescere, nel bene e nel male, come piacere. Nelle nuove condizioni, esemplificate dalla sindrome delle crisi globali, la comunità mondiale è stata trasformata in un sistema in un sistema mondiale, cioè in un insieme di parti funzionalmente interdipendenti. Ogni parte – che sia una regione o un gruppo di nazioni – deve dare il proprio contributo allo sviluppo organico dell’umanità: risorse, tecnologia, potenziale economico, cultura e così via. In un sistema siffatto la crescita di ogni parte dipende dal fatto che le altre crescano o non crescano; pertanto una crescita indesiderabile di una parte qualsiasi mette in pericolo non solo quella parte, ma tutto l’insieme. Se, però, il sistema mondiale riuscisse a imboccare la via della crescita organica, le interrelazioni organiche agirebbero come un freno contro una crescita indifferenziata in un punto qualsiasi del sistema. [1]

Gli autori spiegano che se si dovesse far riferimento alla crescita indifferenziata, bisognerebbe arrestare qualsiasi processo. Diversamente, il passaggio da una crescita indifferenziata ad una organica porterebbe a nuovi equilibri che scongiurerebbero la catastrofe (se, ad esempio, la popolazione cresce troppo in una regione la si può far migrare altrove, dove la popolazione è più anziana, soprattutto se si vuole spopolare per sfruttare le risorse naturali). Ma ciò è possibile solo spingendo l’umanità sulla strada indicata dagli scienziati in base alla loro «simulazione matematica con elaboratori elettronici».

Il passaggio dall’attuale crescita indifferenziata e squilibrata del mondo alla crescita organica porterà alla creazione di una nuova umanità. Un simile passaggio rappresenterà un’alba, non una catastrofe, un inizio, non una fine. Ma l’umanità avrà le capacità e la saggezza occorrenti per far nascere una valida strategia capace di provocare questo passaggio? Considerando i precedenti storici, si sarebbe autorizzati a nutrire seri dubbi in proposito, a meno che la transizione nasca dalla stessa necessità. È in questo senso che le crisi attuali e future – energetica, alimentare, delle materia prime, e altre ancora – possono assumere la funzione di rilevatori dell’errore, di catalizzatori di mutamenti, ed essere quindi un bene sotto le apparenze del male. Le soluzioni di queste crisi decideranno su quale di queste due strade l’umanità ha scelto di incamminarsi.[2] [Grassetto nostro]

NATURA DELLE CRISI GLOBALI

Le crisi contemporanee, rispetto a quelle del passato, sono crisi simultanee e interdipendenti, per cui una crisi in Cina ha immediate ripercussioni in Italia. Ma, secondo Pestel e Misarovich, le crisi attuali, oltre ad essere crisi globali, sono generate da cause positive e non solo negative, come ad esempio, il malgoverno, le calamità naturali, le epidemie, le inondazioni, etc. Le crisi di oggi sono originate da cause spesso positive, cioè, da «conseguenze di azioni che in origine erano state stimolate dalle migliori intenzioni dell’uomo».

Per esempio l’intenzione di ridurre la fatica umana, sfruttando fonti energetiche non umane trovate in natura … ha portato all’attuale crisi dell’energia. L’intenzione di rafforzare il gruppo – fosse esso stesso la famiglia, la comunità o la nazione – mettendo al mondo più figli possibile era encomiabile, ma si è risolta in una crisi della popolazione. Il fatto di ridurre le sofferenze umane e prolungare la vita dell’uomo vincendo le malattie costituiva un nobile obiettivo, ma ha condotto a un forte aumento della popolazione… Oggi sembra che i valori fondamentali, intessuti nelle società umane di qualsiasi fede religiosa, siano in definitiva i responsabili di molti problemi umani. Allora, per evitare crisi future, in che modo bisogna modificare questi valori? Si deve considerare come “male” quello che tradizionalmente era un “bene”? occorre abbandonare quei valori che fino a oggi hanno servito così bene l’uomo, come dimostra il suo continuo progresso?[3]

La crescita che in primo luogo – secondo gli autori – bisogna arrestare è la crescita demografica definita «cancerosa». È indicativo che alcune citazioni a inizio capitolo si riferiscano sempre negativamente all’umanità, come, ad esempio, quella di A. Gregg, per cui «il mondo ha un cancro e questo cancro è l’uomo» o l’altra di W. Saroyan: «La razza umana si avvia ad essere di troppo per se stessa e per il mondo». Gli autori parlano sempre dell’uomo come se appartenessero ad un’altra specie. Non dicono mai: «Inquiniamo troppo, siamo il cancro del pianeta, dobbiamo ridurre i nostri consumi», prendendosi quella parte di responsabilità che spetterebbe loro, ma usano sempre frasi impersonali e concetti astratti, alienandosi dal contesto di quell’umanità che definiscono “cancerosa” e per cui si rende necessario un arresto della crescita. Tale visione del mondo solleva degli interrogativi etici di non poco conto.

Chi può arrogarsi il diritto di decidere quanti dobbiamo essere, chi e quanti non debbano nascere o trapassare per liberare spazio? Quanto si discosta tale visione dal concetto nazista del Lebensraum (spazio vitale)? Davvero i popoli devono porre il suo destino nelle mani di una ristretta oligarchia di illuminati (pneumatici), che, grazie ai modelli dei loro scienziati e politici asserviti (psichici), faranno la cosa migliore per il resto di tutta quell’umanità (ilici) che ritengono un cancro?

UN SISTEMA MONDIALE A PIÙ LIVELLI

La natura delle crisi globali e la necessità di passare da un sistema di crescita indifferenziata ad una crescita organica impongono un sistema di governo mondiale, cioè, quello che oggi molti ossessivamente invocano sotto il nome di nuovo ordine mondiale. Ma come deve essere strutturato questo nuovo sistema?

Per gli autori, il mondo deve essere diviso in regioni, secondo la comunanza di tradizioni, storia e costumi, condizioni economico-sociali e politiche. I due studiosi definiscono così 10 regioni mondiali (di biblica memoria), cioè dieci sottoinsiemi interdipendenti del sistema mondo, auspicabilmente sottomesse ad un organismo sovranazionale (che al dire di alcuni dovrebbe essere guidato dall’UNO-dio di stampo cinese, cioè, il più saggio dell’élite degli illuminati, vedi QUI):

  1. Nord America;
  2. Europa occidentale;
  3. Giappone;
  4. Altri Paesi sviluppati a economia di mercato (Australia, Israele, Nuova Zelanda, Oceania, Tasmania, Sud Africa);
  5. Europa orientale (URSS compresa);
  6. America Latina;
  7. Nord Africa e Medio oriente;
  8. Africa tropicale;
  9. Asia meridionale e sud orientale;
  10. Asia a pianificazione centrale (Cina, Corea del Nord, Mongolia, Vietnam del Nord)

I processi di sviluppo regionale sono strutturati gerarchicamente in strati, che rappresentano le aree di intervento da parte dell’organismo sovranazionale mediante gli amministratori regionali, e sono:

  • ambientale;
  • tecnologico;
  • demoeconomico
  • gruppo o associativo;
  • individuale.

Quest’ultimo «riflette il mondo interiore dell’uomo, la sua costituzione psicologica e biologica».[4] Si tratta di un nuovo mondo abitato da pochi nuovi essere umani modificati biologicamente, psicologicamente e spiritualmente, per assicurare l’equilibrio del pianeta secondo la visione e le aspettative di una ristretta conventicola di sedicenti illuminati, che giocano a fare Dio in un mondo cui appartengono anche loro.

L’UNICA SOLUZIONE POSSIBILE?

Richiamando il problema della fame nel mondo e basando i propri assunti sui rendimenti decrescenti del settore alimentare – cioè, secondo l’obsoleto modello di Malthus del 1798 (vedi QUI e QUI) – i due studiosi propongono il «formarsi di un nuovo ordine economico globale», in cui «attuare una diversificazione industriale su scala mondiale», «l’uso più efficace di lavoro e capitale».

L’unica soluzione attuabile per la situazione alimentare mondiale richiede:

1) un approccio globale al problema,

2) un aiuto in investimenti anziché in beni, salvo che per le derrate alimentari;

3) uno sviluppo economico equilibrato per tutte le regioni;

4) una politica demografica efficace;

5) una diversificazione su scala mondiale dell’industria, che crei un sistema economico realmente globale.

Solo un’adeguata combinazione di queste misure può condurre verso una soluzione. Omettendone anche una soltanto, si arriverebbe sicuramente alla catastrofe.

Se oggi siamo quasi 8 miliardi e non abbiamo assistito ad alcuna catastrofe planetaria, se non giusto a qualche crisi globale pilotata, è chiaro che le previsioni dei due studiosi si sono rivelate un buco nell’acqua. Pensare l’economia in maniera lineare, considerando i sistemi economico-sociali basati sui rendimenti decrescenti come nell’800, costituisce un forte limite invalidante per qualsiasi previsione di crescita. La crescita della tecnologia a ritmi esponenziali e le capacità adattive dei sistemi sociali offrono una vasta gamma di alternative spesso imprevedibili, soprattutto per quelle menti possedute dallo spirito (cieco) della linearità totalizzante.

Sovranità, debito e moneta
Quantum Financial System in Sovranità, debito e moneta

Di seguito lo studio su LE RADICI DEL MALE dall’inizio:

https://www.databaseitalia.it/le-radici-del-male/
https://www.databaseitalia.it/le-radici-del-male-2-la-genesi-della-triste-scienza/

[1] Mesarovic, M., Pestel, E., L’umanità a una svolta. Strategie per sopravvivere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1974, pp. 15-18.

[2] Idem, p. 20.

[3] Idem, p. 22.

[4] Idem, p. 46.