TOTALITARISMO E RIVOLUZIONE PERMANENTE. DA TROTSKY A VON DER LEYEN (PASSANDO PER DAVOS)

Rileggendo alcuni classici della scienza politica, sono rimasto colpito da alcune analisi sul totalitarismo che, alcuni anni fa, sarebbero passate facilmente in sordina, in quanto legate ai tempi che furono e non sarebbero più stati, archiviate definitivamente in qualche sito archeologico della memoria e classificate come Antichità.

LE BATTAGLIE DEL GOVERNO

La continua generazione di crisi, da quella pandemica a quella ecologica, passando per il terrorismo internazionale e i flussi migratori, e chi più ne ha più ne metta, sono gli ingredienti principali di ogni rivoluzione, rossa o verde che sia. Lo spirito della rivoluzione sovietica ritorna e si riveste di verde (o di blu) con tanto di timbro UE, il cui cuore sembra battere per tutto ciò che sia nero o rosso totalitario senza troppe sfumature, come ho avuto già modo di mostrare ne “La politica economica dell’EURSS”.

Il regime di Lenin era caratterizzato dalla lotta continua e dall’insorgere ininterrotto di crisi che necessitassero di un rimedio che, a sua volta, coinvolgesse interamente l’azione politica.

I più modesti compiti di governo diventavano adesso delle battaglie. Lenin scrisse a Stalin che, quando si fosse liberato dal dente malato dei Bianchi, avrebbe cominciato una lotta a morte contro lo “sciovinismo russo”. La campagna contro la burocrazia. Quella contro il capitalismo nelle campagne. La lotta per l’elettrificazione della Russia.[1]

DISTRUGGERE TUTTO CIÒ CHE ESISTE

Esaminando queste dinamiche non possiamo non notare alcune similitudini tra passato e presente: guerra civile (bianchi contro rossi), lotta al nazionalismo, riforme della Pubblica Amministrazione, lotta alla proprietà privata (che si concluderà con l’epurazione fisica dei kulaki – cioè, la classe media costituita dai proprietari terrieri – e la collettivizzazione forzata delle terre), lotta energetica. Ora passiamo all’agenda UE: guerra tra vaccinati e non, riforme della PA alla luce della Next Generation e PNRR, eliminazione graduale della proprietà privata e della privacy, campagna energetica zero emissioni (green economy = elettrificazione delle automobili, degli impianti di riscaldamento, etc.). Sia l’una che l’altra rivoluzione si pongono come obiettivo quello di ricreare un’umanità nuova, fatta a immagine e somiglianza dei loro ideatori, che molto probabilmente sono stati e vengono tuttora sovvenzionati dai medesimi gruppi finanziari. Per raggiungere un tale obiettivo, l’azione deve essere definitiva e profonda, quindi, continua fino a quando il vecchio sistema (e chi ne fa parte) sarà completamente distrutto, perché «cambiare la totalità comporta in principio distruggere tutto ciò che esiste, a livello di strutture e culture».

Animata da ambizioni così radicali e compiute, però, la rivoluzione totalitaria non può fermarsi e concludersi. È rivoluzione permanente. In quanto tale, risponde di necessità a una logica di perpetuazione della guerra civile e del disordine sociale di origine … Cambiare la totalità, infatti, comporta in principio distruggere tutto ciò che esiste, a livello di strutture e culture, perché ciò che esiste è un dato, e come tale è già passato. Correlativamente, cambiare comporta la distruzione dell’alter, la cui colpa è di disturbare con la sua originaria, preesistente diversità di alter il disegno integrale della costruzione futura della nuova società. L’impresa è dunque ciclopica e «definitiva», ed esige tempi e strumenti di distruzione commisurati al fine. Rivoluzione come guerra, perciò, e guerra di lunga durata. In questo senso, rivoluzione come disordine civile istituzionalizzato.[2]

DISORDINE SOCIALE ISTITUZIONALIZZATO

Alcune parole chiave destano attenzione: «rivoluzione totalitaria», «rivoluzione permanente», «perpetuazione della guerra civile e del disordine sociale», «distruzione dell’alter». Il nuovo reset prevede la distruzione definitiva e perenne del vecchio sistema e la trasformazione irreversibile di ciò che ne resta. Per questo è necessaria un’azione permanente di disordine sociale istituzionalizzata. Perché sussista una rivoluzione totalitaria è necessario che questa sia permanente ed esercitata in primo luogo dalle istituzioni, che diventano, così, i primi trasgressori dell’ordine costituito, traditori della loro stessa essenza e coscienza.

La rivoluzione permanente è lo strumento par excellence delle élite di ieri come di oggi. Cambiano gli attori e i teatri ma il copione resta pressoché invariato. La fucina russa ha fornito gli assiomi fondamentali per il cambio di paradigma verso un’involuzione liberaldemocratica. Sono questi gli errori sparsi dalla Russia nel mondo intero, i semi letali gettati a tempo debito nel terreno del mondo nell’intrepida attesa che sbocciassero ovunque i fiori del male.

TROTSKY E LA RIVOLUZIONE PERMANENTE

Leggendo l’introduzione al libro Rivoluzione permanente, a cura di Luma Nichol, è difficile non rilevare una certa predisposizione naturale del manuale di Trotsky alla risoluzione di alcune esigenze poste in essere dall’agenda mondialista (enfasi nostra):

Chiunque giunga alla conclusione che il futuro della Madre Terra e dei suoi abitanti dipenda da una revisione totale del sistema attuale si chiederà: “Come possiamo cambiare il mondo? E qual è un modo migliore di operare?”. La rivoluzione permanente, sia il libro che la teoria, risponde a queste domande con un’approfondita analisi storica delle dinamiche della rivoluzione, un’analisi che ha superato la prova del tempo.

Oggi gli assiomi della sua teoria sono ancora validi: ogni lotta per porre fine alla povertà, aumentare i diritti umani o raggiungere la liberazione nazionale richiede la leadership della classe operaia e del socialismo per avere un successo duraturo.

FSP [Partito Socialista della Libertà] crede che La Rivoluzione Permanente sia un manuale teorico essenziale per i rivoluzionari del XXI secolo. La rivoluzione permanente è la chiave per sbloccare quel futuro.

La sua analisi scientifica e marxista della tettonica sociale esamina le classi e riconosce che i loro spostamenti sismici sono collegati attraverso i continenti. La teoria di Trotsky è uno studio di quei punti caldi da cui emergono nuove società. Come tale, è una guida indispensabile per i rivoluzionari moderni.[3]

MARX E IL MATERIALISMO MESSIANICO

Chiunque avesse mai pensato che il marxismo potesse liberare l’uomo dalla schiavitù, dovrebbe restare alquanto sconcertato (e disgustato) dall’apprendere come ciò che sarebbe dovuto essere (almeno in teoria) un processo di liberazione consista, invece, in un potenziamento degli apparati di controllo finalizzato ad uccidere l’uomo di carne per farne uno nuovo in laboratorio, puro, immune da tutti quelli che le élite definiscono vizi.

Insomma un essere sintetico, una specie di cyborg, che risponda pienamente alle attese di una classe dirigente mediocre e corrotta, accecata dall’illusione di un messianismo materialistico (o di un materialismo messianico).

È all’interno di questa Weltanschauung marxiana – generata nell’impianto analitico di Hegel, padre dell’idealismo e dello stato totalitario – che nascono, ad esempio, il green pass, il progetto di una moneta digitale mondiale legata a parametri biometrici, per cui solo chi è tracciato può comprare e vendere.

Sovranità, debito e moneta

EURSS DI DAVOS E LO EUROPEAN CHIP ACT

Lo European Chip Act approvato dall’UE in questi giorni è la prova inoppugnabile di un disegno ctonio elaborato nelle fucine delle solite conventicole pneumatiche, foraggiato dalle solite banche d’affari (e, forse, anche centrali) e dispiegato dai soliti “utili idioti d’Occidente” (gli psichici o, forse, sarebbe meglio definirli psicopatici) a detrimento dei soliti ilici.

Un nuovo socialismo aristocratico digitale, in cui la guerra al capitalismo vale solo per il 99,99% della popolazione mondiale, destinata a vivere immersa nelle profondità abissali del metaverso in modalità tracciabile e a rispondere in modo appropriato ad ogni input emanato dalle torri di controllo del Potere.

Dopo l’emissione dei lasciapassare digitali, la chiave di volta di tutta l’architettura UE è il chip, perché come si dice a Davos, «There’s no digital without chips». Ed è proprio una delle figlie predilette di Davos che proclama il debutto dell’era digitale, la Presidente della Commissione Europea Ursula (Gertrud Albrecht) von der Leyen, che ha candidamente affermato:

Con lo European Chips Act vogliamo fare dell’Ue un leader industriale in questo mercato strategico, ci siamo prefissati l’obiettivo di avere nel 2030 qui in Europa il 20% della quota di mercato globale della produzione di chip… L’Europa è il continente in cui sono iniziate tutte le rivoluzioni industriali. E può essere la patria della prossima rivoluzione industriale.[4]

CHIP E QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Visto che «la quarta rivoluzione industriale non cambierà solo ciò che facciamo ma anche chi siamo», cioè, cambierà, soprattutto, l’uomo stesso, assegnandogli un’unica identità digitale, psicologica e biologica (QUI), e dato che questa rivoluzione comincia in Europa, è chiaro che la produzione di chip dovrà (e non “potrà”) essere assorbita forzosamente in primis dai cittadini europei. Del resto c’è già un precedente storico.

Il 15 settembre 2021, von der Leyen scriveva al Presidente Sassoli:

L’Unione Europea ha vaccinato più del 70% della popolazione adulta ed è il più grande produttore di vaccini del mondo… Abbiamo concordato in tempi record un Certificato Covid Digitale EU, che ha permesso di generare più di 400 milioni di certificati individuali [green pass] dall’inizio dell’estate.[5]

I prodromi del chip, però, si erano già manifestati nel 2017, con la pubblicazione del rapporto “The Use of Chip Implants for Workers” (L’uso di impianti di chip per lavoratori) da parte del Directorate General for Internal Policies of the Union.

Il tema centrale di questo paper è costituito dalle istanze legali e dalle considerazione etiche inerenti all’impianto di chip RFID (Radio-Frequency IDentification) nei lavoratori per l’accesso ai luoghi di lavoro, senza necessità dei documenti di identità. Le criticità evidenziate riguardavano l’incompatibilità dell’impianto con la legislazione sulla privacy e, soprattutto, con i diritti umani.

Dopo aver permesso il green pass e sollevato l’ipotesi di sospendere il codice di Norimberga, cosa potrebbe impedire all’UE di bypassare la legislazione sulla privacy e quegli articoli della Carta dei diritti fondamentali che dovrebbero proprio tutelare le persone dall’impianto dei chip, probabilmente già presenti nei “vaccini” anticovid (QUI e QUI)?


[1] Fisichella, D., Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1987, p. 66.

[2] Op. cit. p. 73.

[3] Trotsky, L., The Permanent Revolution & results and prospects, Red Letter Press, Seattle, 2010, pp. 7-9.

[4] ANSA, Von der Leyen lancia il piano per i chip, ‘Ue diventerà leader’

[5] State of the Union 2021. Letter of Intent to President David Maria Sassoli and Prime Minister Janez Janša