Il sabato del villaggio

Da un po’ di tempo a questa parte le piazze di molte città Italiane, si riempiono di persone che si ritrovano, rompono gli schemi dei vecchi “aperitivi”, offrono da mangiare, da bere, musica.

Accade quasi sempre di sabato, fatidico giorno che il Leopardi definiva come: “Questo di sette è il più gradito giorno”. Questo ritrovarsi gioioso delle persone per strade e piazze, questo scambiarsi storie, impressioni e quant’altro, mi ha ricordato la poesia del poeta di Recanati. Consiglio una rilettura, c’è molto di noi oggi in quella poesia.

In questi “assembramenti” colorati e sorvegliati da migliaia di poliziotti in assetto di guerra, la gente non curandosi di loro si incontra. Esce dalla falsa narrazione di un “virus mortale” e si riprende la vita. Centinaia di migliaia di persone sparse in “piccoli villaggi” di ogni città italiana, torna alla vita.

Si perché questa falsità, ha rubato ai molti di noi che l’hanno combattuta dall’inizio, quasi tre anni di vita. Tre anni che non torneranno più. Tre anni buttati nella spazzatura e dimenticati in un lampo. Così le persone tornano ad incontrarsi per strada, a toccarsi, scambiarsi occhiate, gesti e chissà che in tutta questo, non nascano nuovi amori, nuove amicizie, insomma… non si torni a parlare di “futuro”.

Ho visto filmati da un po’ tutte le parti di questo sgangherato stivale e ci sono scorci di città, volti allegri e sorridenti, che mi hanno commosso. Ho visto la gente in Corso Como la via dell’Elite della moda, riempirsi bicchieri di carta, scambiarsi risate e schiamazzi e spazzare in un attimo, la scellerata gestione della città di Milano, da parte di un vile che per tre anni, si è rinchiuso nel suo palazzo, profferendo strafalcioni da ospedale psichiatrico e scappando da tutte le sue responsabilità. Ho visto un bellissimo filmato della Piazza Vittorio a Torino colma di persone festanti, con lo sfondo della collina e della basilica piena di colori e sorrisi, che sembrava un quadro di Monet. Una bellezza straziante. Così come Livorno, Bologna e tante altre città che sono tornate a vivere, sono tornate ad essere a disposizione della gente, luoghi di incontro, di convivialità.

Tutto questo l’ho trovato il gesto più rivoluzionario che sia stato fatto in questi tre anni. Lo schiaffo più sonoro ad un regime nazista, che continua a padroneggiare con la tecnica del bastone (tanto) e la carota (poca). Un gesto così comunitario di adesione sociale e libertà, che ha spiazzato i “giullari” di corte e i loro cani da guarda (polizia e carabinieri), al punto tale da mandare camionette e sgherri in assetto di guerra, a presidiare le piazze piene di gente festante che balla, ride, ti offre da bere e torna alla vita.

Restano miserabilmente vuoti, i locali attorno a questi ritrovi del sabato. Stamberghe spregevoli, avamposti della dittatura, che per sedersi a un tavolino e prendere uno Spritz, chiedono il GP e 15 euro a testa. Con i loro scagnozzi fermi, sulle porte di bar e locali, a guardare centinaia di migliaia di persone che gratis e senza GP, festeggiano il loro ritorno alla vita. Un segnale importante che deve continuare. Un messaggio che deve diffondersi e, con l’arrivo della primavera, moltiplicarsi e riempire questo paese di tanti piccoli villaggi tutti i sabati, dove la gente possa tornare alla vita.

Non si faccia l’errore di “offrire” un gesto solidale a sgherri e Balilla di regime. Mai lasciarsi prendere dalla compassione. Loro sono li pronti ad azzannare chiunque si disperda, si allontani e gliene dia l’occasione. Loro sono li solo per colpire, affossare e distruggere ogni anelito di vita.

Lasciateli spettatori inermi e invidiosi, di quello che nei nostri “villaggi” succede. Lasciateli bollire nel disappunto di essere impotenti verso questa voglia di vita. Lasciateli “offesi” vicino alle loro camionette, dentro le loro tute dove si sentono “sicuri prigionieri”, di una frode che non riescono a vedere, che non sanno decifrare perché è tale la loro ignoranza, da non riconoscere più la vita dalla morte.

E in questo enorme bellissimo e colorato disordine di queste migliaia di “villaggi” del nostro paese, si riversano grandi, anziani, bambini, donne uomini adolescenti e insomma… si riversa la vita. La vita che ci è stata tolta, negata nella sua forma più rappresentativa: l’avvicinamento sociale, l’abbraccio, il sorriso su un volto finalmente libero dalla vergogna di una inutile ma discriminatoria “mascherina”. Si mischiano i racconti, i ricordi, le impressioni, le speranze per un futuro diverso. I ragazzini gridano e felici si rincorrono tra la folla e a guardarli, sembra che sia cominciata una nuova era. Un’era dove le cose piano piano torneranno al loro posto, dove l’essere “umani” non sia più appendere lenzuola con la scritta “andrà tutto bene”, ma far si che le cose da subito, da ora “vadano bene”. Un’era in cui ritrovarsi, toccarsi e guardarsi negli occhi da vicino, sia la normalità. Un’era in cui scambiarsi un bacio come da sempre, ti apre il cuore a un mondo nuovo, a sogni fantastici a sensazioni mai provate. E questo per quanto sembri strano, vale a tutte le età e in tutti i più nascosti posti di questo pianeta.

Perché noi non siamo nessuno senza questo pianeta, ma questo pianeta, non sarebbe niente senza di noi. Andy Warhol diceva: “Credo che avere la terra e non rovinarla, sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”.

Ecco, l’Arte itinerante sarà il futuro di questa nuova era. Le piazze piene il sabato di persone colorate, con lo sfondo delle nostre città, saranno i quadri del futuro. Noi siamo Arte e viviamo delle espressioni dell’Arte. L’Arte regala emozioni, ci fa piangere e sorridere. Ci fa pensare, ricordare progettare.

Ma non dobbiamo abbassare la guardia, dimenticare di lottare per noi stessi e per la nostra terra, per riprenderci quello che è solo nostro, che non appartiene a nessuna altro che a noi: la vita su questa terra. Ernest Hemingway molto semplicemente diceva: “La terra è un bel posto e per essa vale la pena di lottare”.

Così ben venga questo “Sabato del villaggio” e riempia di risate schiamazzi colori e sorrisi, questo tetro mondo che ci circonda e lasci al margine delle nebbie, questi “morti viventi” che con invidia, rabbia disappunto e odio, ci osservano senza capire perché dove siamo noi ci sia il sole, si possa respirare un’aria pulita, mentre dove loro vivono, le tenebre li avvolge e li obbliga ad indossare maschere, caschi e guanti, per nascondere i loro volti ormai segnati dalla morte e dal terrore.

Riprendiamoci la nostra vita e le nostre città. Riprendiamoci il nostro “Sabato del villaggio”.

Bruno Marro
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