Che l’Italia uscita dalla IIª Guerra Mondiale sia sempre stato un Paese a sovranità limitata è un dato di fatto assodato e assolutamente inconfutabile. Quello che invece è tragico, è che buona parte degli Italiani finge spesso e volentieri di non ricordarselo, oppure – e questo è ancora più grave – lo ignora proprio!
Soggetti dalla fine della IIª Guerra Mondiale ad una vera e propria occupazione militare (ospitiamo sul nostro territorio oltre 180 fra basi e istallazioni militari americane), non abbiamo più avuto un’autonomia decisionale in fatto di politica estera ed energetica. Nei casi in cui si è tentato di ristabilire, e con successo, un minimo di autonomia decisionale in questi settori chiave, le conseguenze, come ci insegna la vicenda di Enrico Mattei, sono state drammatiche. E quel minimo di sovranità che ancora ci restava e che potevamo seppur blandamente esercitare, quella monetaria, è stata progressivamente minata dapprima con il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia nel 1981 e poi con i provvedimenti del Governo Amato nel Luglio 1992. Ci è stata infine sottratta definitivamente con la discutibile entrata del nostro Paese nel circuito della moneta unica europea, con tutti gli scompensi economici e sociali che essa ha comportato. E la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, ha comportato al nostro Paese un’altra penalizzazione ancora poco compresa ed affrontata dagli storici: la perdita di buona parte del nostro peso geostrategico, e quindi della nostra “rendita di posizione”, trasformandoci nel giro di pochi anni in un vaso di coccio fra vasi di ferro.
Come ha sottolineato Giorgio Vitali in una relazione che tenne ad un convegno a Orte nel 2010, «sappiamo bene che il destino dell’Italia è un destino geografico, o meglio “geopolitico”, e proprio a livello geopolitico deve essere pensato. Lavorare di congetture senza inserire l’elaborazione del pensiero entro le coordinate cartesiane della geopolitica è inutile. Fu proprio un grande “italiano”, Napoleone, a dichiarare senza mezzi termini che la Storia è fatta dalla Geografia. L’interesse verso l’Italia di tutta l’Europa, anche presa per singoli paesi, (…) ci indica con sufficiente chiarezza che “altrove” l’Italia è valutata per la sua posizione nel Mediterraneo, indipendentemente dalla linea politica di chi è al potere. Pertanto, aveva perfettamente ragione il grande Metternich quando, in idonea sede, dichiarava che l’Italia era un’espressione geografica. Su questa frase hanno elucubrato per un paio di secoli tanti patrioti italiani senza rendersi conto che il giudizio prescindeva dal “valore intrinseco” dei suoi abitanti. La storia del nostro paese lo dimostra».
L’esperienza storica degli ultimi decenni ci ha chiaramente dimostrato che non vi è assolutamente alcuna reciprocità fra l’Italia e gli U.S.A. (come del resto essa non sussiste anche nei confronti della Francia, della Gran Bretagna e di altre nazioni legate a doppio filo con i burattinai del teatrino della politica internazionale). Possiamo infatti tranquillamente sfidare qualsiasi cattedratico di Diritto Internazionale o di Diritto Costituzionale a dimostrare il contrario.
Senza girarci troppo intorno, una Nazione può dirsi sovrana se vengono rispettati i seguenti punti:
1) All’interno del suo territorio, delimitato da confini certi, vigono leggi e regolamenti ugualmente applicabili a tutti coloro che a vario titolo vi esercitano le proprie attività, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Un discorso a parte vale per alcuni aspetti di Diritto Civile per i quali il Diritto Internazionale fissa in trattati bilaterali tra gli stati che – beninteso – si fondano sul principio di reciprocità la soluzione di taluni aspetti della convivenza.
2) Il territorio nazionale risulta essere perfettamente integro e privo di enclavi dove vigono forme di potestà diversa da quella nazionale.
3) Le autorità di governo che nel tempo si succedono alla guida della Nazione risultano essere perfettamente indipendenti, ovvero scevre da condizionamenti esterni, nell’operare le proprie scelte politiche, economiche e diplomatiche.
4) La disciplina normativa dei mezzi di scambio (moneta e assimilati) e la politica monetaria rientrano nella piena potestà delle autorità nazionali.
Ebbene, possiamo allora dire che le quattro condizioni fin qui elencate vengono rispettate nel caso dell’Italia? Assolutamente no! E vi spiego perché:
a) Non è vero che vi è uniformità di trattamento di fronte alle leggi italiane per tutti coloro che nel territorio nazionale esercitano a vario titolo la loro attività. Possiamo citare, ad esempio, la tragedia del Cermis, quando un aereo militare USA con a bordo personale non impegnato in particolari attività se non quelle di un normale volo di routine, alcuni anni fa tranciò i cavi di una funivia, causando la morte di ventuno persone. Di quella tragedia, per la quale fu subito chiaro di chi fosse la responsabilità, per la legge italiana non vi fu alcun colpevole. L’unico organo giudicante fu una corte marziale americana, che sancì addirittura una promozione dei militari imputati! Paradossalmente, qualcuno ha mai sentito o letto sulla nostra stampa di regime interviste ai familiari delle vittime del Cermis?
b) Su tutte le basi americane, o della NATO (che poi, in sostanza, è la stessa cosa) presenti sul nostro territorio, le autorità italiane non hanno alcuna giurisdizione, o se ce l’hanno è perché viene loro delegata dal comando NATO. Sono di fatto porzioni di territorio straniero sulla superficie nazionale, come Guantanamo a Cuba.
c) Riguardo a questo aspetto, richiederebbe pagine intere l’elencare i tanti casi in cui vi è stata una totale sudditanza da parte dei governi italiani ai voleri di potenze straniere o dei cosiddetti “organismi internazionali”. Per non parlare dell’indebita influenza esercitata non dal solito padrone d’oltreoceano, ma da uno stato molto più piccolo e molto più vicino, situato addirittura all’interno del territorio nazionale: il Vaticano.
Ritengo necessario, a questo punto, spendere alcune parole sul concetto di sovranità monetaria, altro elemento fondamentale, se non essenziale, per la solidità di uno stato e per lo sviluppo di un reale benessere dei cittadini e della democraticità delle istituzioni.
La rendita da emissione monetaria è sinonimo dell’antico termine “signoraggio”. Nelle società antiche e medievali erano i “signori”, i Re, a incamerarla, in una misura rapportabile al tipo di moneta (oro, argento, metalli minori) su cui incidevano la loro effigie. In tal modo – quando non ricorrevano alla schiavitù – col “signoraggio” i sovrani facevano fronte alle spese di guerra, a quelle per le infrastrutture pubbliche (mura difensive, canali, acquedotti, etc.), o, magari, a quelle per i loro capricci: dipendeva dal Re.
In Italia, lo Stato monarchico utilizzò una parte della rendita da emissione monetaria per costruire “a costo zero” i quartieri umbertini di Roma e di altre città. Ma in generale, man mano che la “Nazione” andava sostituendo il Sovrano come fonte dei Poteri dello Stato e la democrazia parlamentare l’assolutismo monarchico, il “signoraggio” venne rideclinato nella nuova struttura statale: in Italia, ad esempio, la Banca d’Italia, che già deteneva il monopolio dell’emissione delle banconote, venne trasformata nel 1936 inente di diritto pubblico. Contrariamente a quanto si può pensare, un po’ come accadde per l’AGIP, creata nel 1926 e salvata nel 1945-46 da Enrico Mattei, la Repubblica ereditò e rafforzò il controllo statale sulla moneta legiferato durante il Fascismo. Come ci ricordano Marco Della Luna e Antonio Miclavez nel saggio Euroschiavi, «Fra il 1945 ed il 1948 il ruolo strategico della Banca d’Italia nel settore del controllo e della manovra valutari, già ad essa in larga misura riconosciuto nella legislazione intervenuta in materia fra la seconda metà degli anni ’20 e la seconda metà degli anni ’30, viene ulteriormente consolidato e potenziato e la disciplina dell’organizzazione e delle funzioni della Banca d’Italia vigente al momento dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana è destinata a rimanere pressoché intatta per circa un quarantennio».
Il ministro del Tesoro decideva sul tasso di sconto; nel 1956 nasceva un Ministero delle Partecipazioni Statali sotto la cui regia sarebbero stati o creati o sostenuti sia i gioielli dell’industria di Stato, sia alcune banche a partecipazione maggioritaria statale. Il controllo statale della rendita da emissione monetaria divenne un anello essenziale dello sviluppo del benessere del popolo, pur dentro un sistema tarato da ingiustizie sociali: esso fu la base finanziaria, sia pure indiretta, del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta e permise, tra l’altro, la nascita e lo sviluppo, per quasi mezzo secolo, del welfare state.
Tutto questo finì la notte del 31 Luglio 1992. Il 2 Giugno di quell’anno, infatti, si era svolta, sul Panfilo Britannia, di proprietà della Regina Elisabetta, la famosa riunione di finanzieri e banchieri europei nella quale, mentore George Soros e presente anche Mario Draghi, la Lira sarebbe stata svalutata. In caso di privatizzazione dell’industria di Stato italiana, dunque – già nell’aria grazie alla campagna forsennata di Repubblica contro i cosiddetti “boiardi”, cioè i dirigenti di Stato da demonizzare in blocco per affossare e rapinare l’industria di Stato – questa sarebbe finita ai pescecani della finanza internazionale a prezzi stracciati.
Come ho dichiarato in una mia recente intervista, all’epoca io avevo vent’anni ed ero già da tempo impegnato in politica. Fui testimone oculare di un servizio del Tg5: dal Britannia, ormeggiato a Civitavecchia, sbarca Emma Bonino, fa un bel sorriso e spiega che, a bordo, s’è discusso di cose “interessanti e costruttive”. Poi sbarca Beppe Grillo, ma rifiuta di fare dichiarazioni al reporter, Enrico Mentana. Io quel servizio l’ho visto, me lo ricordo benissimo. Era il 2 giugno 1992. Tale servizio oggi è scomparso: fatto sparire persino dagli archivi del Tg5. E lo stesso Mentana è arrivato pubblicamente a dire che non è mai esistito.
Ma torniamo indietro di alcune ore, alla notte del 31 Luglio:il Consiglio dei Ministri è semideserto e Giuliano Amato fa un vero e proprio golpe, trasformando gli enti di Stato in società per azioni: non solo l’ENI e l’IRI vennero così privatizzati, ma anche la stessa Banca d’Italia. Fu il primo colpo, comunque già determinante, alla sovranità statale sull’emissione monetaria e sulla sua rendita. L’altro arrivò con l’adozione, da parte dell’Italia, dell’Euro che non solo dimezzò stipendi e salari, grazie all’iniquo cambio condiviso da Prodi (1 a 2, invece che 1 a 1), ma, inoltre, diede il via, negli anni successivi, con il Trattato di Lisbona (2007-2009) e con il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES, 2011) al “perfezionamento” dell’usurpazioneal Popolo, della rendita da emissione monetaria e della verifica-pianificazione dei conti pubblici.
Oggi la sovranità e la rendita monetaria appartengono alla Banca Centrale Europea, un organismo che sfugge al controllo degli Stati membri, in nome di una malintesa “autonomia”: e, la rendita da emissione va, per quel che riguarda l’Italia, ai banchieri privati italiani (Unicredit, Intesa San Paolo, etc.) proprietari della Banca d’Italia, che ricevono dalla stessa BCE la quota di Euro assegnata al nostro Paese, circa il 6-8% del totale.
L’ingresso nell’eurosistema e l’usurpazione della sovranità monetaria, da parte dei banchieri privati italiani (Banca d’Italia) e stranieri (BCE), sono un elemento fondamentale della crisi che attanaglia l’Europa e l’Italia. Come tutti ormai ci siamo resi conto sulla base degli avvenimenti degli ultimi anni, questa crisi, che sotto la guida di governi subalterni ai grandi poteri bancari privati sta distruggendo la nostra base produttiva (ILVA, Finmeccanica, chiusura delle piccole imprese), ha un nome: crisi da “debito pubblico”.
Ma il debito pubblico è una grande truffa ai danni del Popolo: il Giappone ha notoriamente un debito pubblico ben superiore a quello dell’Italia – 200% del PIL, contro il nostro 120% – eppure la sua economia tira, è viva, produce ricchezza materiale, proprio perché il governo liberale di Tokyo controlla e usufruisce della sovranità e della rendita monetaria. Il debito pubblico del Giappone è quasi tutto interno, costituito da una massa di piccoli e medi risparmiatori che investono nel futuro del paese. É un debito sovrano. Quello dell’Italia, invece (interno solo al 40% e al restante 60% debito estero), è un debito da schiavi.
Ecco un esempio tipico della grande truffa del debito pubblico: la BCE, organismo privato e che sfugge al controllo degli Stati le cui economie sono in piena crisi, invece di concedere crediti a questi ultimi (e sarebbe questa già un’operazione truffaldina, perché il denaro della BCE è inventato dal nulla) li concede alle Banche private e al tasso dell’1%, nella prospettiva che questi acquistino i titoli di Stato italiani (a quale tasso? non certo l’1%!).
Qui sta la chiave dell’inganno. Altro che sprechi e gestione allegra dei governi degli anni Ottanta come causa primaria e unica del debito italiano! Gli sprechi ci sono stati, la corruzione esisteva, ma già per gli anni Ottanta è stato fatto notare che il debito pubblico – fermo al 20% del PIL all’inizio degli anni Settanta – era cresciuto soprattutto a causa del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981 e al connesso aumento dei tassi di interesse.
Con la definitiva privatizzazione della Banca d’Italia, voluta da Giuliano Amato nel 1992, si è completa l’usurpazione della sovranità monetaria del Popolo italiano e è data una notevole spinta a quel terribile circolo vizioso che, ancora oggi, sta trascinando giorno dopo giorno l’Italia nel pieno di una politica recessiva, verso il baratro di un debito senza fine: privato della renditada emissione monetaria, lo Stato italiano stampa titoli di stato per acquistare dalla Banca d’Italia (e dalla BCE in via indiretta) il “gruzzolo” di banconote che dovrebbe essere suo di diritto, in quanto espressione-frutto del lavoro dei suoi cittadini. In tal modo, anziché procedere verso l’azzeramento del debito pubblico, ne subisce di anno in anno l’aumento.
Un altro fattore di primo piano che ha determinato una progressiva erosione della sovranità nazionale e monetaria degli stati (ovviamente Italia compresa), già dalla fine degli anni ’70 in poi, gettando una pesante ipoteca sulla già problematica crisi interna delle democrazie di questi, è stato la finanziarizzazione dell’economia.
Il motivo della finanziarizzazione dell’economia è molto semplice: estrarre ricchezza dalla società in cambio di simboli (e manipolando il mercato dei simboli) è molto più facile e rapido che guadagnarla in cambio di beni, lavoro e servizi reali. Per farlo, però, bisogna imporre alla società la dipendenza da quei simboli, e costruirsi il monopolio legale della loro produzione, quindi finanzia rizzare anche la politica e l’ordinamento normativo degli stati.
Dall’inizio degli anni ’80, la causa primaria delle crisi socio-economiche delle democrazie occidentali (e l’Italia rientra in pieno in questa configurazione) sono stati prevalentemente gli erronei principi contabili applicati a moneta e credito; correggerli sarebbe stato il modo più efficace di risolvere e prevenire le crisi senza lacrime e sangue e senza violenza da parte dei governi e della popolazione.
La causa più grave e profonda di instabilità finanziaria e bancaria, nonché di molte crisi di mercato e recessioni economiche, è il fatto che la realtà economica più importante di tutte, implicata nella cosiddetta creazione di mezzi monetari, non è rilevata dagli attuali principi contabili, e resta quindi, nell’universo finanziario, una sorta di “materia oscura”, che esiste, è presente, esercita una forza “gravitazionale”, ma non viene visualizzata, non se ne tiene conto, non la si nomina nemmeno.
Questa realtà economica sono i flussi di potere d’acquisto dalla società alla banca come creatrice di mezzi monetari, cioè il valore che si unisce ai simboli, ai pezzi di carta e ai bit elettronici – privi di valore proprio – in cui consistono i suddetti mezzi monetari e valori finanziari spendibili. Si unisce, entra (per così dire) nei mezzi monetari, in quanto la società, il mercato, li accettano, danno loro ipso facto il valore che poi hanno e che il sistema bancario, raccogliendolo dalla società senza produrlo, presta indietro alla società stessa e se lo fa pagare come capitale e interesse.
Un valore costituente un quid economico positivo che le banche raccolgono creando simboli, e che quindi, se la contabilità fosse redatta secondo realtà, verrebbe registrato nel conto dei profitti e delle perdite come ricevo, e andrebbe a capitalizzare le banche, rendendole più forti. Ma andrebbe anche a controbilanciare l’enorme indebitamento globale; e, non ultimo, costituendo reddito, darebbe un forte gettito fiscale, idoneo a estinguere i debiti pubblici degli stati.
Marco Della Luna, nel suo saggio I Signori della Catastrofe, denuncia chiaramente come viene perpetrata l’applicazione alla nostra società quello che lui chiama il Modello Cayman: «La recente scoperta di 32.000 miliardi di Dollari imboscati in paradisi fiscali, in primis le Isole Cayman, con l’aiuto di primarie e autorevoli banche, tra cui la Deutsche Bank – scandalo noto come Offshore Leaks – è solo la punta dell’iceberg in un mondo con circa 1,4 milioni di miliardi di debito e circa altrettanti di titoli spazzatura, però aiuta a capire concretamente come gira, per l’Europa soprattutto, il sistema economico-finanziario globale in vigore nel mondo e in che modo esso genera la depressione economica in cui versiamo. Non è difficile! Vorrei qui solo aggiungere un ricordo: di quando andavo, nel 2006 e 2007, in televisione, a Canale Italia, assieme all’Ing. Argo Fedrigo, che esibiva uno statement di una banca delle Isole Cayman, da cui risultavano conti correnti della Banca d’Italia e di altre primarie banche. Fedrigo invitava la magistratura ad indagare, mettendosi a disposizione. Nessuno lo chiamò, a quanto mi consta».
Questo che abbiamo adesso enunciato in grandi linee è il modello economico vigente. Esso produce le “crisi” e le recessioni, dalle quali non vi è uscita finché esso rimane in funzione. Il problema è che tale modello è strenuamente difeso dall’Unione Europea, dalla Banca Centrale Europea, dal Fondo Monetario Internazionale e da altri gruppi di potere – veri e propri poteri forti sovranazionali e transnazionali – che agiscono esclusivamente nell’interesse dei loro beneficiari, a dispetto dei mali che tale modello arreca alla popolazione degli Stati che ne vengono coinvolti.
Alla elaborazione, alla costruzione e all’attuazione di questo modello, dagli anni ’70 in poi, hanno concorso, con l’approvazione una serie mirata di trattati internazionali e di riforme normative, consapevolmente o inconsapevolmente, liberamente o forzatamente, per calcolo utilitario o per una visione superiore, uomini come Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Tommaso Padoa-Schioppa, Romano Prodi, Giuliano Amato, Pierluigi Bersani, Mario Monti, Giorgio Napolitano.
Se, a livello internazionale, questa linea è stata adottata e intrapresa nel Regno Unito da Margaret Thatcher, in ambito europeo dalle istituzioni comunitarie tutte, e negli Stati Uniti dalle amministrazioni di Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton, George W. Bush e Barak Obama, dobbiamo riscontrare che nel nostro Paese essa ha avuto come principali alfieri gli uomini e i governi di centro-sinistra che si sono succeduti nei ruoli chiave del potere della cosiddetta Seconda Repubblica del dopo Tangentopoli. Tanto che le responsabilità in questo gioco della sinistra italiana sono state denunciate e ben messe in evidenza anche da studiosi e osservatori internazionali come lo storico russo Boris Yousef, che ha apertamente parlato di un “patto col diavolo” stretto fra i dirigenti del PCI-PDS alla vigilia di Tangentopoli. Secondo l’analisi di Yousef, la generazione dei nuovi quadri del vecchio partito comunista, in crisi di identità politica e ideologica sulla scia della caduta del Muro di Berlino, pur di garantirsi un futuro politico e il tanto agognato controllo del Governo del Paese, non avrebbero infatti esitato a venire a patti con quello che, visto con ottica marxista, avrebbe dovuto rappresentare di fatto ai loro occhi il loro più mortale nemico: la grande finanza internazionale. E l’aspetto più clamoroso di questa operazione non è stato tanto il fatto che essi l’abbiano pensata e realizzata, ma il fatto che siano riusciti a farla accettare e metabolizzare al proprio elettorato!
Nessuna giustificazione possiamo comunque dare ai governi di centro-destra che, se non hanno direttamente favorito con il loro operato questo modello, non hanno dimostrato di avere avuto i necessari strumenti e la sufficiente determinazione per contrastarlo o, quantomeno, per tentare di contenerlo.
A mio parere non vi potrà essere soluzione alcuna alla crisi della democrazia italiana (come, del resto, a quella di molte altre democrazie europee e non), se ci si limiterà a discutere di “correttivi” e di riforme strutturali e istituzionali che, per quanto effettivamente possano venire realizzate e applicate, non andranno mai neppure a scalfire quello che ritengo il problema principale, quello monetario, invertendo la rotta sciagurata che ha portato ad una sempre maggiore finanziarizzazione dell’economia e alla conseguente spirale recessiva e all’avvitamento fiscale che ci attanaglia.
Per far fronte a questa situazione occorrerebbero statisti di livello, ma il panorama politico italiano, popolato da tristi figuranti e da tanti burattini privi di competenze e dalla medio-bassa caratura, ne è drammaticamente privo. Durante la tanto vituperata Prima Repubblica, invece, si statisti degni di questo appellativo ne avevamo. E il fatto che una certa classe politica di allora – per carità, non perfetta, ma che almeno lavorava anche per il bene della Nazione – sia stata deliberatamente distrutta per far posto all’attuale, deve farci riflettere.
Si fa oggi un gran parlare di un’imminente “rottamazione” del Governo Conte e dell’eventualità – da molti data per certezza – dell’avvento di un esecutivo guidato da Mario Draghi, a cui verrebbe affidato l’incarico di traghettare in tempi rapidi il Paese fuori dalla schizofrenia “pandemica” voluta e alimentata dall’attuale Governo e di rilanciare un’economia deliberatamente distrutta. E si fa un gran parlare, soprattutto in ambienti massonici, di una presunta “conversione” di Mario Draghi al Keynesismo e alla dottrina di un’economia espansiva. Personalmente, ci crederò solo quando lo vedrò. Il personaggio in questione ha troppi scheletri nell’armadio, decisamente troppi.