Si sono da poco conclusi i Giochi Olimpici di Beijin.
Beijin in realtà è il nome cinese di quella che noi conosciamo come Pechino: la capitale della Cina. 24 milioni di abitanti una storia millenaria alle spalle, ma anche una recente drammatica vicenda, che tutti noi o almeno gran parte di noi ricordano: i fatti di Piazza Tienanmen.
Ma la storia si fa presto a dimenticarla e come ho scritto tempo fa tornando a Praga, mi sono accorto che li più nessuno conosce la storia di Jan Palach. Così a Pechino e nel mondo, nessuno ricorda più il giovane che da solo nella piazza Tienanmen, si mise davanti ad un carro armato delle truppe Cinesi e lo fermò in diretta Tv mondiale.
Ecco quella Cina li è stata completamente dimenticata. Persa nel nulla. Un po’ come i suoi Giochi Olimpici, credo in assoluto i Giochi più ignorati della storia. Con questi stadi immensi dove spiccava qualche sparuto spettatore festante e mascherato all’inverosimile. Un cerimoniale di premiazione grottesco, con queste Gheisha “robotizzate” che con la loro manina indicavano agli Atleti la direzione da prendere, dove fermarsi, quando togliersi la mascherina e quando rimetterla. Un vero esempio di “lobotomizzazione” del popolo che ho trovato frustrante.
Comunque noi in questo “nulla” ci siamo come al solito contraddistinti alla grande, inviando a Pechino oltre gli Atleti, l’essere più inutile della terra: il Presidente del Coni Malagò. Il quale dopo una terrificante campagna pro vaccino e professando l’obbligo per gli Atleti, dopo ben tre vaccini (dice lui…) si becca il Covid. Ne esce per il rotto della cuffia e con trionfalistiche dichiarazioni parte per l’amata Cina. Peccato che all’arrivo i cinesi (si sa sono scrupolosi) lo controllano da cima a fondo come un comune mortale e, lo trovano nuovamente positivo al Covid. Così il malcapitato viene confinato in un albergo per “reietti” e da li si guarda le Olimpiadi davanti al Tv. Come al solito, viene bene da dire a proposito del Karma, che: “non è vero ma ci credo” e di conseguenza, mi guardo sempre bene dal stuzzicarlo.
Non è di questo però che vi voglio parlare, ma di tre episodi che mi hanno particolarmente colpito. Il primo riguarda la “bambolina di ceramica” o se preferite la bambina o meglio ancora, la quindicenne pattinatrice russa: Kamila Valeryevna Valieva. Questa bellissima bimba pallida ed emaciata alta 160 cm per 47 kg di peso, arriva alle olimpiadi con un fardello pazzesco sulle spalle. Nel 2019/2020 (fate bene i conti di quanti anni aveva…) vince la medaglia d’oro al Junior Gran Prix in Francia. In quella competizione esegue (seconda atleta nella storia), il quadruplo Toeloop con le sue esili braccia rivolte in alto a mani unite. A vederlo c’è da non crederci.
Non basta, perché un mese dopo agli Junior Gran Prix in Russia vince due medaglie d’oro e, come se non bastasse a Torino al JGP vince la finale. Insomma una vera macchina da guerra. Neanche a dire ovviamente, che detiene la corona mondiale del Short Program femminile (Junior) e ben nove record mondiali. Colleziona medaglie e titoli sino ad arrivare alle Olimpiadi di Beijin. Uscita dalla durissima scuola russa “Sambo-70” governata con metodi dittatoriali dalla ex pattinatrice Eteri Tutberidze, la Valieva è l’ultimo prodotto di questa fabbrica di campioni destinati ad essere dimenticati dopo poco.
Facciamo un passo indietro di qualche mese. A dicembre 2021 la Valieva viene trovata dalla RUSADA (agenzia per l’antidoping Russa), positiva ad una sostanza proibita: il Trimetazidine. Questa sostanza medica viene somministrata per prevenire gli attacchi di angina ma come sempre, nasconde furberie sottili. Innanzitutto aumenta la velocità di scorrimento del sangue. Essendo un vasodilatatore direi nulla di eccezionale, però l’aumentare della velocità del sangue, provoca una diminuzione della fatica (i ciclisti conoscono bene questa pratica) e offre ovviamente maggiori prestazioni. Non basta, toglie anche il senso di vertigine. Roba non da poco per chi passa l’80% del tempo a volteggiare su sé stessa. Insomma la nostra Katarina viene pizzicata ma non sanzionata. Perché? Perché sotto i 16 anni non è possibile sanzionare gli Atleti in quanto sono “persone protette”. Però si può sanzionare la Federazione ma tutti si astengono. Con questa Spada di Damocle sulla testa la nostra pattinatrice parte per Beijin senza sapere se potrà gareggiare o meno.
Alla fine come al solito vincono soldi e politica, così la Valieva gareggia nel programma a squadre e distrugge completamente la concorrenza, trascinando con un punteggio fantascientifico la Russia alla medaglia d’oro. Vale la pena rivedere la sua performance, nel “Bolero” di Ravel che ha incantato tutti: https://youtu.be/q47bOzfthf4
Ma qui giustamente vista l’età, cominciano i problemi. Schiacciata dal peso di una pressione enorme non sopportabile sulle sue esili spalle e distrutta dalle polemiche sul doping, la Valieva nel singolo, quello che vale la medaglia delle medaglie, si scioglie come neve al sole. Ripropone il Bolero ma cade diverse volte nel salto che l’ha resa famosa nel mondo: il quadruplo Toeloop.
Kamila Valeryevna Valieva è fuori dal podio e se le sue lacrime toccano tutti noi, il sospiro di sollievo lo tira il CIO che si vede così fuori dall’imbarazzo di decidere se premiare o non premiare visto la vicenda doping questa formidabile pattinatrice.
Insomma una brutta storia che come al solito, gioca sulle spalle di bambine prodigio cresciute con durissimi allenamenti sin dalla tenera età, senza bere durante le sessioni di allenamento, con un controllo ossessivo del peso e chissà quali sostanze per ritardarne la crescita e sopportare la fatica. Uno stress psicofisico altissimo che ha un prezzo devastante sul futuro di questi baby fenomeni. “Alle ragazze non si deve voler bene” questa la dichiarazione della Tutberidze che comanda la scuola con pugno di ferro e nessun sentimento “Una volta scesi dal podio si torna ad essere nessuno”. Nel palmares della temibile scuola, ci sono bambine del calibro di: Alina Zagitova, campionessa olimpica 2018 e campionessa del mondo 2019, Evgenia Medvedeva, argento a Pyeongchang e due volte campionessa del mondo nel 2016 e 2017, Julia Lipnitskaya, campionessa d’Europa 2014 e vicecampionessa del mondo lo stesso anno e Alena Kostornaia, campionessa del mondo 2020. Tutte straordinarie pattinatrici, ma tutte con una carriera precoce da meteore. Tutte distrutte da problemi psicologici e fisici tranne la Medvedeva che ebbe la forza di andarsene dalla scuola. Tutte non pattinano più. Ma poco importa, perché alla scuola “Sambo-70” sempre saldamente in mano alla Eteri Tutberidze, c’è già il nuovo fenomeno. Si chiama Sofia Akateva classe 2007. Sguardo algido perso nel vuoto, un corpo esile e tanti sogni da adolescente pronti per essere infranti.
La seconda cosa di cui vorrei parlarvi è lo sfogo di Arianna Fontana, medaglia d’oro nei 500 di pattinaggio con una gara capolavoro. Partenza. Alla prima curva Arianna cade. Per regolamento la gara va ripetuta. Tutto da rifare e anche le lamine dei pattini che si sono rovinate nella caduta. Una pressione psicologica pazzesca ma Arianna batte tutto e tutti e conquista l’oro. Fin qui tutto molto bene. Se non fosse che alle spalle della pattinatrice, c’è una lunga storia piena di polemiche con la nostra federazione, tanto da lasciare il nostro paese, per andare ad allenarsi in Ungheria con il marito contestando la FISG: “La Federazione non ha supportato molto le mie scelte, specialmente quella di avere mio marito Anthony Lobello come coach. Lui mi ha aiutato a vincere l’oro in Corea ed in quella fase erano molto felici. Non so perché abbiano cambiato idea. A conti fatti comunque la mia è stata la decisione migliore, perché ho vinto un altro oro oggi nei 500“.
Insomma anche qui senza andare a scavare ancora, polemiche e frecciatine all’indirizzo della Federazione e del Team maschile di pattinaggio “La prima stagione dopo Pyeongchang ci sono stati atleti maschi che mi bersagliavano sul ghiaccio, facendomi cadere e provando ad attaccarmi ogni volta che ne avevano l’occasione. Non era sicuro per me in quel momento allenarmi con il team in Italia. Questo è uno dei motivi per cui me ne sono andata in Ungheria“.
Che si tratti di Russia, Germania, Italia e chi volete voi, la vita di queste atlete all’interno delle Federazioni e delle scuole o nei campi di allenamento, non deve essere facile. Men che meno per una ragazza.
Chiudo con Federica Brignone che devo dire mi piace molto come atleta e come persona. La sciatrice viene via da Beijin con due medaglie e una polemica innescata dalla mamma su Sofia Goggia. La mamma della Brignone smentisce l’amicizia tra le due millantata dalla Goggia: “Amiche? Lo ha detto solo per piacere, ma c’è solo rispetto”. Non contenta rincara la dose parlando dell’infortunio della bergamasca dicendo che: “Ora lei si arrabbierà perché già l’anno scorso avevo detto che non era così grave quando è tornata dopo 40 giorni. Questa volta è tornata dopo 23. Se uno si rompe una gamba non credo che possa tornare in pista dopo 23 giorni. È molto egocentrica, non vuole essere una critica, però lei si piace molto al centro dell’attenzione, gode di questo e lo cerca da morire. Cerca sempre di essere molto lodevole con sé stessa”.
In effetti se ti rompi un osso qualunque che è fondamentale per poter sciare a quelle velocità, probabilmente 23 giorni sono molto pochi per riprendersi ma si sa ormai, la medicina, la chirurgia e gli intrugli che ti propinano fanno miracoli. La Brignone elegantemente si è levata dai social, non li frequenta. Dalla polemica si è tenuta alla larga quel tanto che bastava per gareggiare tranquilla e vincere due medaglie. Ricordo che la Brignone vinse la Coppa del mondo di sci nel 2020, quella di Slalom Gigante sempre nel 2020 e quella di Combinata ancora nel 2020. Insomma un’atleta di cui andare fieri. Ma non dimentico la Goggia che si, onestamente mi è molto meno simpatica e che forse è soltanto un po’ più “furbetta” della sua compagna e molto più attiva sui social. La Goggia è un vero talento e ha una determinazione smisurata. Vince la Coppa del Mondo di discesa libera nel 2018 e 2021 prende l’argento nel Supergigante mondiale di Åre (Svezia) nel 2019 e si porta via il bronzo nello Slalom Gigante Mondiale di Saint Moritz nel 2017.
Insomma dalle bambine prodigio alle atlete “donne”, la vita all’interno delle Scuole o delle Federazioni sparse nel pianeta, non è così facile come pensiamo e arrivare alla fine e vincere è un miracolo. Frutto di rinunce, duri allenamenti, pressioni psicologiche e enormi carichi di responsabilità. Frutto anche di sotterfugi, furberie e chissà quant’altro soprattutto per una ragazzina o per una donna.
Di certo è che se sei donna, qualunque sport tu debba fare, dovrai faticare molto più degli uomini e “subire” psicologicamente e a volte non solo quello, molto più degli uomini. Il perché poi un genitore affidi una bimba di sei anni in mano a dei veri Lager dello sport e se la “dimentichino”, resta un mistero che si può solo spiegare solo in una sorta di rivincita personale. Un modo per nascondere il fallimento della propria vita. Un escamotage per risolvere quello che negli anni non sei riuscito a fare e un modo, per tornare ad essere protagonisti. Non che non ci si debba provare per carità, ma quello che ti viene tolto nella pubertà e nell’adolescenza, non te lo ridà indietro più nessuno. L’esasperazione a cui si è arrivati anche nello sport, riflette una società che per primeggiare è pronta a tutto. D’altra parte come diceva il compianto Ayrton Senna: “Arrivare secondo significa soltanto essere il primo degli sconfitti”.
Kamila Valeryevna Valieva resta per me il simbolo di queste “Olimpiadi del nulla“ e anche lei, verrà presto dimenticata.
Bruno Marro
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