L’immagine vista in tutto il mondo del Segretario di Stato Colin Powell e la sua finta fiala di antrace, che ha tenuto durante una presentazione davanti alle Nazioni Unite sul presunto programma di armi di distruzione di massa dell’Iraq, il 5 febbraio 2003.
In questi giorni, una fortuita occasione mi ha permesso di visualizzare un Report pubblicato da Sputnik International, il sito non era oscurato, sicuramente per errore perché oggi non è più possibile visualizzarlo a causa delle disposizioni di censura.
Nella fattispecie il Report di Sputnik, molto interessante, viene pubblicato a distanza di pochi giorni dalla relazione del premio Pulitzer, Seymour Hersh, sul sabotaggio del Nord Stream 1 e 2, nel quale indica la responsabilità di diversi Paesi, oltre agli Stati Uniti e il suo Presidente Joe Biden, in ciò che possiamo definire un vero e proprio “atto di guerra”.
Sputnik International ha pubblicato la testimonianza di un ex Marines Statunitense, Scott Ritter, riguardo al Segretario di Stato Colin Powell che, il 5 febbraio 2003, mostrò una finta fiala di antrace durante una presentazione davanti alle Nazioni Unite, sul presunto programma di armi di distruzione di massa dell’Iraq, rivelatasi poi una criminale bugia costata la vita a milioni di persone.
Leggendo il Report di Sputnik International, n. 1920, del 05.02.2023, ecco la testimonianza di Scott Ritter:
“C’era una volta Colin Powell potenziale candidato ad essere il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti.
Il viaggio di un uomo, una volta considerato la persona più rispettata in America, da una posizione in cui la Presidenza americana poteva esser sua per spessore, arriva ad essere screditato e, considerato bugiardo e fabbricante di prove false perchè portò l’America a una guerra fallita in Iraq, passando attraverso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dove, il 5 febbraio 2003, consegnò un indizio destinato a sostenere l’invasione americana di quel Paese.
Come ufficiale junior del Corpo dei Marines negli anni ’80, conoscevo Colin Powell solo per reputazione. Quando sono entrato a far parte dell’Agenzia di ispezione nel 1988, facevo parte di un gruppo di ispettori che attuava una sorveglianza di controllo degli armamenti di riferimento, il trattato sulle Forze Nucleari Intermedie (INF), che Powell, in qualità di consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Ronald Reagan, ha guidato nei negoziati che hanno portato alla firma del trattato, nel dicembre 1987, e attraverso la successiva ratifica da parte del Senato degli Stati Uniti, nel maggio 1988. Facevo parte di un team di funzionari dell’OSIA incaricati di organizzare un incontro al Comitato per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti nella primavera del 1988, e ricordo di aver conosciuto Colin Powell mentre ci dirigevamo verso la sala conferenze protetta del Senato.
Ero un giovane ufficiale e i generali che hanno lavorato direttamente per il Presidente degli Stati Uniti tendono a impressionare i giovani tenenti in quel modo.
La mia successiva interazione con Colin Powell fu durante l’Operazione “Desert Storm”, nel gennaio 1991. Ero un ufficiale dell’intelligence junior dello staff del generale Norman Schwarzkopf, comandante del comando centrale degli Stati Uniti. Mancavano due settimane alla guerra e la coalizione riunita dal presidente George H. W. Bush per sfrattare l’Iraq dal Kuwait era sotto pressione per la possibilità che Israele entrasse in guerra. L’Iraq stava sparando missili SCUD, modificati in modo artigianale, in Israele e l’incapacità della coalizione di prevenire questi attacchi stava facendo sì che Israele minacciasse di intervenire e di fare il lavoro da solo.
Vi fu un’enorme pressione sul generale Schwarzkopf per abbattere gli SCUD e l’Aeronautica degli Stati Uniti aveva deviato migliaia di voli nell’Iraq occidentale per svolgere quel compito. Alla fine di gennaio, una di queste missioni, pilotata dall’F-15 Strike Eagles, attaccò un convoglio di veicoli che sosteneva fossero lanciamissili SCUD. La videocassetta di quell’attacco venne inoltrata al quartier generale del comando centrale, a Riyadh, dove gli ufficiali dell’aeronautica americana informarono con entusiasmo il generale Schwarzkopf sui risultati: “sette abbattimenti SCUD confermati”.
Ansioso di placare le preoccupazioni israeliane, Schwarzkopf tenne una conferenza stampa in cui lui e il comandante della componente dell’aeronautica americana, il generale di brigata “Buster” Glosson, mostrarono il nastro mentre proclamavano con orgoglio il successo degli Stati Uniti nel prendere di mira e distruggere gli SCUD iracheni.
C’era solo un problema, io.
Ero l’analista del “danno da battaglia”, responsabile di analisi, delle affermazioni basate sull’intelligence, degli abbattimenti SCUD e la mia revisione dei nastri dell’Aeronautica indicava che ciò che veniva rivendicato come SCUD erano in realtà altri mezzi militari, molto probabilmente di trafficanti di armi, che uscivano dalla Giordania. La mattina dopo il briefing del generale Schwarzkopf, preparai il rapporto ufficiale sugli obiettivi SCUD nel quale veniva indicato “abbattimenti confermati” ed io scrissi sotto il risultato: “0”.
Poco dopo aver presentato il rapporto, sono stato convocato da un colonnello dello staff di Schwarzkopf, che mi chiese di “correggere” il rapporto. Gli dissi che il numero era corretto.
“Quando il comandante generale afferma che sono stati abbattuti sette SCUD iracheni”, disse il colonnello, “il rapporto prodotto dal suo staff rispecchia quei numeri!”.
Il presidente dei capi di stato maggiore congiunti, Colin Powell, indicò le basi aeree irachene che mostrarono una certa attività nell’ultimo giorno in un briefing del Pentagono, il mercoledì del 24 gennaio 1991 a Washington.
Mi rifiutai di modificare la relazione, rilevando che nella mia qualità di funzionario responsabile dell’accertamento dell’accuratezza dei numeri contenuti nella relazione, non potevo reclamare sette obiettivi abbattuti quando sapevo che il numero era zero.
Venni licenziato sul posto.
Prima di essere scortato fuori dal bunker, consegnai una copia del mio rapporto, insieme a un’analisi scritta del perché credevo che il numero fosse zero, al rappresentante senior dell’Agenzia di Intelligence di Difesa (DIA), nel comando centrale.
Trasmise il rapporto a Washington DC, finì sulla scrivania di Colin Powell, che a quel tempo era il presidente dei capi di stato maggiore congiunti.
Colin Powell fece valutare il mio rapporto dagli analisti della DIA che confermarono la mia analisi e mentre il generale Schwarzkopf si rifiutava di cambiare i numeri, io recuperai il mio lavoro.
Successivamente anche Colin Powell mi voltò le spalle, mentre prestava servizio come ispettore delle armi presso la Commissione speciale delle Nazioni Unite (UNSCOM), supervisionando l’eliminazione delle armi di distruzione di massa irachene.
Nell’autunno del 1991, la CIA fece uno sforzo concertato per rimuovere dai ranghi dell’UNSCOM tre americani che erano considerati “contaminati” ed esperti di ispezioni INF.
Secondo la CIA le tre persone, incluso me, erano “troppo morbidi” sull’Iraq perché insistemmo, nell’applicare alla lettera i regolamenti, mentre svolgevamo il nostro mandato di ispettori.
La questione raggiunse la scrivania di Colin Powell, che annullò immediatamente l’incarico.
Nel settembre 1998, ho finalmente avuto la possibilità di incontrare Colin Powell di persona, durante una conferenza ad Aspen, in Colorado, organizzata da Teddy Forstmann, CEO di Forstmann & Little, un’importante società di gestione degli investimenti. Sia Colin Powell che io partecipammo come relatori a questo evento. Avemmo una lunga conversazione a colazione e poi a pranzo, dove venni intervistato da Charlie Rose, Powell si unì a Sam Nunn e Henry Kissinger alzandosi in piedi per lodarmi apertamente come “un grande americano”.
Rimane uno dei momenti salienti della mia vita.
Più tardi, quando ci siamo trovati su parti opposte in vista dell’invasione americana dell’Iraq, Colin Powell è rimasto sulle sue posizioni, rifiutandosi di impegnarsi nel supporto della mia relazione, attaccata da altri funzionari dell’amministrazione Bush, quando cercavo di confutare le mie affermazioni secondo cui l’Iraq non aveva più armi di distruzione di massa tali da dover condurre alla guerra gli Stati Uniti.
Nessun buon feeling o storia passata positiva, tuttavia, avrebbe potuto riparare il danno che fece alla sua reputazione davanti ai miei occhi, quando si presentò al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 5 febbraio 2003, difendendo la causa per la guerra, composta interamente da bugie, distorsioni e falsificazioni, mentre teneva in mano una fiala che secondo lui conteneva antrace come parte degli armamenti di distruzione di massa dell’Iraq.
Nella mia esperienza, Colin Powell aveva sempre rappresentato la personificazione di un uomo di carattere che avrebbe sempre fatto la cosa giusta.
Ma, mentre lo guardavo mentire, bugia dopo bugia, vidi immediatamente quello che era veramente, un uomo inadeguato e indegno delle responsabilità che gli venivano date.
Colin Powell aveva detto una volta che, la sua esperienza in Vietnam gli aveva insegnato che quelli in posizioni di potere e autorità, non potevano mai più permettere alle bugie di modellare la politica quando la vita dei membri americani era in pericolo.
Quel giorno, il 5 febbraio 2003, Colin Powell ha mentito in quella dichiarazione.
Ha fallito il popolo americano.
Ha fallito il mondo.
Si è fallito.
L’uomo che avrebbe potuto essere il mio primo presidente afroamericano si era invece trasformato in un’altra persona di carattere debole, capace di mettere tutto in pericolo, anche quando contava di più proteggere la vita di coloro che aveva giurato di servire.”
Termina qui questa importante testimonianza di Scott Ritter sulla arrogante ostilità di un gruppo di politici Statunitensi che, per il loro e di “Altri”, interessi di Potere, costruiscono menzogne di ogni genere contro il benessere e la vita di varie popolazioni del mondo e degli stessi Stati Uniti.
Ora veniamo ai giorni nostri.
“Joe Biden mente pubblicamente sull’attacco terroristico del Nord Stream 1 e 2, nello stesso modo in cui mentì l’ex presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, che iniziò l’espansione militare in Vietnam”.
Una dichiarazione pubblica così importante è stata fatta dal famoso giornalista investigativo americano, premio Pulizer, Seymour Hersh:
“Sappiamo tutti del pretesto che Johnson usò per l’espansione militare e ottenere una risoluzione del Congresso che gli slegasse le mani in quella guerra … Ha inventato l’incidente con l’attacco dal Vietnam del Nord, e loro, in collusione con McNamara, hanno deciso di cambiare l’intelligence .”
Hersh ci ricorda che 58.000 americani e da 1 a 3 milioni di vietnamiti morirono nella guerra del Vietnam a causa delle bugie di Johnson, inoltre sappiamo che la guerra costò 150 miliardi di dollari paragonabili a circa 300 odierni.
Altri particolari: “La decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo più di nove mesi di dibattiti altamente segreti all’interno della comunità della sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio tale obiettivo. Per gran parte di quel tempo, il problema non era se portare a termine la missione, ma come portarla a termine senza alcuna chiara idea di chi fosse il responsabile.”
“Il presidente Biden e il suo team di politica estera, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, il sottosegretario di Stato per la politica, erano stati espliciti e coerenti nella loro ostilità nei confronti dei due oleodotti, che correvano fianco a fianco per 750 miglia sotto il Mar Baltico da due diversi porti nella Russia nord-orientale vicino al confine estone, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nel nord della Germania.”
Il Report è sempre più esplicito: “Nel corso dei successivi numerosi incontri, i partecipanti hanno discusso le opzioni per un attacco. La Marina ha proposto di utilizzare un sottomarino appena commissionato per assaltare direttamente l’oleodotto. L’Air Force ha discusso di lanciare bombe con micce ritardate che potrebbero essere attivate a distanza. La CIA ha sostenuto che qualunque cosa fosse stata fatta, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i soggetti coinvolti hanno compreso la posta in gioco. “Questa non è roba da bambini”, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “È un atto di guerra”.
Ciò che è diventato chiaro ai partecipanti, secondo la fonte, con conoscenza diretta del processo, è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream, e che stava realizzando i desideri del Presidente.”
Una politica offensiva attuata attraverso vari strumenti come la NATO, la CIA e altri organismi e funzionari dello Stato.
Ad un anno dall’avvio dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina i media continuano nel propinarci una narrazione sempre meno aderente alla realtà e priva di argomenti idonei agli interessi Nazionali.
L’aggressione della Russia all’Ucraina è “brutale” e non “provocata”, chi si permette di indicarne la seconda opzione viene definito “Putiniano” nonostante ormai sia sempre più facile acquisire dati che mostrano, dietro a questa devastazione, la minuziosa guida della NATO da 9 anni.
Il dilagante “pensiero unico” come nell’Orwelliano “Ministero della Verità” dimostra che gl’interessi in gioco sovrastano gli interessi dei Paesi coinvolti, ciò che risulta ancora più grave è che questi interessi sono nocivi per la democrazia occidentale.
Dal 1945 ad oggi, per la prima volta, una Guerra viene combattuta in Europa con gravi conseguenze strategiche, energetiche ed economiche.
Problemi molto più pesanti e reali, scaturiti a seguito delle sanzioni applicate alla Russia ed alle mastodontiche spese in armamenti con le quali, a breve, dovremmo fare i conti.
Come Popolo abbiamo il dovere di sensibilizzare i nostri governanti, in quanto, gli sviluppi che stanno prepotentemente emergendo, ben diversi da quelli prefigurati dalle sinfonie propagandistiche, finiranno per annichilire la prospettiva di un futuro prospero che l’Occidente stava faticosamente costruendo e che ora sembra volgere ad un triste tramonto.
È uno scontro fra coscienze, affonda le sue radici in un terreno impregnato di menzogne, i guardiani della politica, i giornalisti, hanno una enorme responsabilità per aver taciuto ed essersi prostituti a questo sistema corrotto.
articolo di Gianfranco Uccheddu
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